Reportage

Bhutan, la felicità come manifesto politico

Un viaggio tra fede, tradizioni e leggende, che mostra che esiste un altro modo di vivere: più lento, consapevole e in armonia con ciò che conta davvero

Il Tiger’s Nest
(© Keystone)
16 novembre 2025
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Nel cuore himalayano del Bhutan, tra montagne incontaminate e monasteri sospesi nel tempo, lo Dzong di Punakha racconta la spiritualità e l’equilibrio di un Paese in cui la felicità è una ricchezza condivisa. È un viaggio tra fede, architettura, tradizioni e leggende che resistono alla modernità, mostrando che esiste un altro modo di vivere: più lento, consapevole e in armonia con ciò che conta davvero. In un mondo che corre, il Bhutan invita a fermarsi. E ad ascoltare.

Gradino dopo gradino, si sale quasi in ginocchio lungo le ripide scale dell’imponente Dzong di Punakha, uno dei luoghi più scenografici del Bhutan. Costruito tra il 1637 e il 1638, domina la confluenza di due fiumi: il Mo Chhu, la ‘femmina’, e il Pho Chhu, il ‘maschio’. La loro unione simboleggia equilibrio e prosperità, principi che sono più di un ideale, sono un modo di vivere nel Paese buddista.

© S. CarattiUna veduta che dà sullo Dzong di Punakha

Dall’oscurità alla luce

Quando varco la piccola porta di legno, dopo l’ultima rampa, la luce mi investe all’improvviso. Si passa dall’oscurità alla luce. Resto senza fiato davanti ai tesori di un mondo sospeso tra sacro e quotidiano. Nel primo cortile si erge un maestoso ficus sacro della Bodhi, accanto a una stupa bianca. Attraverso porte dorate, balconate intagliate e passaggi stretti, si arriva al cuore del complesso: il tempio principale.

© S. CarattiAlbero della Bodhi, un fico sacro

All’interno, le statue dei Buddha si ergono imponenti, circondate da thangka e affreschi che raccontano storie antiche di rinascite e compassione. Mi siedo sui tappeti, tra canti dei monaci e profumi di incenso, lasciando che la mente si quieti. È un luogo da vivere piano, come un lungo respiro. È come se la sacralità facesse vibrare qualcosa dentro, come un richiamo sottile. «Qui ogni dettaglio è pensato per evocare la purezza interiore», mi sussurra il monaco che mi accompagna. La sua voce è calma, quasi un’eco dei mantra che ci avvolgono. Ha studiato buddismo per oltre trent’anni e trascorso tre anni in ritiro, imparando a dominare la mente. È considerato un grande maestro e insegna nei monasteri. Eppure mi confida, con umiltà: «Meditando, a volte mi accorgo che la mente non è focalizzata e vaga qua e là». Nei suoi occhi si riflette una serenità antica, come se provenisse da un luogo senza tempo. «Ogni affresco – prosegue – racchiude in forma simbolica gli insegnamenti del Buddha: ciò che va lasciato, ciò che va coltivato, il cammino verso l’illuminazione».

© S. CarattiDzong di Punakha, luogo dove sono custodite le reliquie del lama

Nella parte più sacra del complesso – un’area accessibile solo al re, al capo religioso e a due monaci di guardia – sono custodite le spoglie imbalsamate di Ngawang Namgyal, il lama che nel XVII secolo unificò il Bhutan e fondò la monarchia duale, dove potere spirituale e civile convivono in equilibrio. «Ogni mattina e sera – mi racconta – un monaco porta del cibo». Un gesto antico, ripetuto generazione dopo generazione che rinnova la presenza invisibile del lama, venerato ancora oggi come il protettore del Bhutan.

Unione dei poteri religioso e secolare

Lo Dzong non è solo un capolavoro architettonico: è il cuore che tiene insieme la vita religiosa e politica del Bhutan. Nel cortile esterno, alcuni galli svolazzano liberi, incuranti dei turisti. Li osservo: sono simbolo di vigilanza e rinascita. Nella loro leggerezza ritrovo l’essenza del luogo: la felicità come cammino quotidiano, da percorrere senza fretta, senza distrazione.

© S. CarattiUn interno dello Dzong di Punakha

Poco prima di uscire, un affresco cattura il mio sguardo. Racconta la storia di quattro amici – un pavone, una scimmia, un coniglio e un elefante. Il pavone trova un seme e lo pianta. Il coniglio lo annaffia. La scimmia lo nutre. L’elefante lo protegge. Quando l’albero cresce, i frutti sono troppo alti per ciascuno di loro, ma insieme – salendo uno sull’altro – riescono a raggiungerli.

© S. CarattiLa fiaba dei quattro amici

Guardo quell’immagine e sorrido. È solo una leggenda, eppure racchiude tutto: la gentilezza, la cooperazione, la consapevolezza che da soli si arriva fino a un punto, ma insieme si può toccare il cielo. Lasciando lo Dzong attraverso di nuovo il ponte di legno sul fiume Mo. Sembra di camminare in un sogno: la fortezza alle spalle, i due fiumi che la proteggono come in un abbraccio e le jacarande in fiore che la tingono di viola. Tutto intorno è quiete, ma una quiete viva, che pulsa. Qualcosa è rimasto in me, come se quelle mura mi avessero ricordato di respirare più lentamente.

Equilibrio e turismo d’élite

Proseguo il mio viaggio in questo piccolo regno tra Cina e India, dove il benessere conta più della crescita economica. Nonostante molti giovani emigrino per salari più alti (il medio è di circa 500 dollari al mese), tutti hanno casa, sanità e istruzione gratuite.

© S. CarattiCarissa Nimah

A sostenere questo equilibrio contribuisce il turismo controllato: il visto costa 100 dollari al giorno, poi ci sono le spese per vitto, alloggio, guida e driver. «Un turismo d’élite che finanzia infrastrutture, scuole e ospedali e tutela il Paese dal turismo di massa», ci spiega Carissa Nimah, dell’Ufficio del Turismo di Thimphu. Nelle strade della capitale non si vedono catene internazionali come McDonald’s o Zara e la popolazione veste ancora abiti tradizionali: gho per gli uomini, kira per le donne (ben illustrati al Museo del Tessile). Persino le sciarpe seguono un codice di colori legato ai ruoli istituzionali: giallo per i reali e i vertici religiosi, arancio per i ministri, blu per i parlamentari, verde per i giudici.

© KeystoneAbiti tradizionali

Una manciata di consigli

Da non perdere il mercato della capitale, ricco di peperoncini e verdure essiccate, e l’Heritage Center, dove si possono gustare piatti tipici come l’Ema Datshi (fonduta di peperoncini) e il Suja (tè al burro di yak). Per viaggiare servono guida e driver (consigliata Karmay Tours, ideale anche per viaggiatrici sole) e si può dormire in monasteri spartani, case locali, hotel di lusso. Tra questi spicca lo Zhiwaling Heritage di Paro, primo 5 stelle bhutanese, un gioiello architettonico con un tempio di 450 anni e un giardino-serra con vegetazione locale, a due passi dal celebre monastero del Nido della Tigre, simbolo del Paese dove la felicità non è un traguardo ma un modo di vivere.

© Ben GlasscoArchitettura interna dello Zhiwaling Heritage Hotel di Paro