Reportage

Mentawai. Il proprio mondo inciso sulla pelle

Il primo reportage di Luisa Ravasi dall'Indocina ci porta in Indonesia, sull'isola di Siberut, alla scoperta del tatuaggio mentawai

(© Luisa Ravasi)
22 giugno 2025
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Tatuarsi è diventato comune, è quasi raro trovare qualcuno senza almeno un piccolo segno sulla pelle. Un nome, una data, un simbolo, un disegno. Ma perché lo facciamo? È solo estetica, un gesto di ribellione? Oppure c’è qualcosa di più profondo? Anni fa ho cominciato anch’io a tatuare, ma a un certo punto mi sono fermata. Mi sono chiesta: perché lo sto facendo? Sembrava che tutto si riducesse a immagini appoggiate sulla pelle. E se il tatuaggio fosse qualcosa di più di un’illustrazione permanente? Un legame con qualcosa di antico? Ho deciso di partire per scoprirlo. Un viaggio durato sette mesi, raccontato al presente perché ancora vivo è il ricordo. Un viaggio che parte con il popolo Mentawai.

Il segno della foresta

Il colpo del bastone è secco, ritmico e fa vibrare il legno su cui è fissata la spilla da balia. Affonda nella pelle con precisione, il dolore varia: a volte è profondo, altre solo un fastidio sottile. Il tatuatore lavora con calma, il suo respiro si mescola ai suoni della giungla.

Sono in Indonesia, nel cuore della giungla dell’isola di Siberut. Sono qua da quasi dieci giorni. Ho attraversato fiumi su canoe, camminato in equilibrio su alberi e radici contorte. Vivo con la tribù Mentawai, un popolo che ha vissuto isolato nella foresta fino ad oggi. Un luogo popolato da sciamani e spiriti, dove le persone portano il proprio mondo inciso sulla pelle.


© Luisa Ravasi

Continuità che dà significato

Vivere con i Mentawai significa tornare all’essenziale. Non ci sono Internet, né elettricità. Si mangia ciò che la foresta offre. La doccia è il fiume e il mondo la giungla.

Un giorno ho chiesto allo sciamano Bolileleu di raccontarmi il significato dei loro tatuaggi. Ci siamo seduti e abbiamo tracciato una mappa del bodysuit tradizionale. Mi ha spiegato che i loro tatuaggi non sono stati inventati da un artista o decisi da una moda. Sono stati sognati dai loro antenati, ispirati dagli spiriti e tramandati per generazioni. Da allora ogni sciamano li porta su di sé, come un linguaggio che attraversa il tempo.

Sulle spalle, il sole, Sibalibalu, la connessione con il cosmo e il loro legame con gli antenati. Sul torace, l’arco e le frecce, essenziali per la vita nella foresta. Sulla schiena, linee per l’equilibrio. Sulle guance, una linea curva per la lama del machete. Su gambe e braccia, trappole intrecciate nella pelle e lo spiky tree, per proteggerli dai pericoli. Infine, sui piedi, impronte di uccello, quasi invisibili.

Lo schema non è completamente rigido. Ogni tatuatore o persona può aggiungere dettagli, piccole variazioni, adattandosi a chi lo riceve. Ma il cuore del disegno rimane sempre lo stesso. È questa continuità a dare significato ai loro segni. Quel giorno, mentre parlavamo, Bolileleu mi ha confessato che non aveva ancora completato i suoi tatuaggi. “Non è mai arrivato il momento giusto”, mi ha spiegato.

Quando il momento giusto arriva

Giorni dopo, arriva il mio momento. Il tatuatore prepara l’ago, una spilla da balia piegata, e l’inchiostro, una miscela di carbone e succo di canna da zucchero. Niente macchinette, solo mani, e colpi secchi di legno su legno.

Ho scelto di tatuarmi il sole, Sibalibalu, sulle spalle. Per i Mentawai, siamo polvere di stelle: quando moriamo, la nostra anima si ricongiunge agli antenati e diventa luce nel cielo. Il sole è il ponte tra passato e futuro, tra chi siamo stati e chi saremo. Rappresenta il nostro ricongiungimento con la nostra storia e le generazioni che hanno camminato sulla terra prima di noi.

Attorno a me due sciamani osservano. Bolileleu ha lo sguardo profondo, ma dolce come sempre; Amanmati sorride leggermente, riesco a vedere i suoi denti limati appuntiti. Il fumo di tabacco aleggia intorno a loro, mescolandosi agli odori della giungla. Il tatuatore si sistema di fronte a me. Le sue mani tengono il bastoncino di legno, al cui estremo è fissata la spilla. Immerge la punta nell’inchiostro scuro. Il tempo sembra sospeso.

Il calore della giungla mi avvolge, il suono degli insetti riempie l’aria, ma tutto si sfuma quando vedo la punta avvicinarsi alla mia pelle.

Un respiro profondo. Poi il primo colpo

Il legno vibra, l’ago affonda con precisione. Sento una puntura improvvisa, più secca di quanto immaginassi. Poi un’altra. E un’altra ancora. A ogni colpo, il disegno prende forma. Le mani del tatuatore avanzano con metodo, costruendo il simbolo punto dopo punto, senza mai creare una linea continua. Solo alla fine riesco a vedere l’intera struttura del tatuaggio: una costellazione di minuscoli segni che sembrano sospesi sulla pelle.


© Luisa Ravasi

Solo qualche istante per vedere il mio nuovo compagno permanente, il tatuatore prende l’inchiostro e lo appoggia sopra il tatuaggio appena inciso. Il liquido si deposita sulle ferite nascondendo ogni cosa, deve seccarsi completamente affinché la pelle possa assorbirlo. Osservo mentre il tatuatore passa all’altra spalla.

Il rituale si ripete. Il bastone batte, la pelle si apre, il simbolo prende vita. E quando tutto è finito, mentre il tatuatore compie l’ultimo gesto sulla mia pelle, noto Bolileleu. Sta sorridendo, dice qualcosa al tatuatore. Poi, si siede al mio posto. Capisco che anche lui sta per farsi tatuare il Sibalibalu, la gioia è palpabile e scoppiamo tutti in una grande risata. È arrivato il momento anche per lui.

La prospettiva cambia. Ora divento osservatrice. Vedo i gesti del tatuatore, il modo in cui Bolileleu stringe i denti quando l’ago affonda. Lo stesso processo che ho appena vissuto ora prende vita davanti a me, ed è come se per la prima volta lo vedessi davvero. Il tatuaggio non è solo il segno che rimane, è il momento stesso in cui lo si riceve. Ogni punto, ogni linea, racconta un frammento di vita, le scelte che ti hanno portato fino a lì.


© Luisa Ravasi

Alla fine, eravamo in tre. Anche lo sciamano Amanmati, dopo aver osservato in silenzio, ha deciso di tatuarsi il Sibalibalu. Non ha detto nulla, non ha annunciato la sua scelta con parole solenni. Si è semplicemente alzato e si è seduto al posto di Bolileleu. Abbiamo riso insieme, sorpresi dalla naturalezza con cui il momento si era trasformato. Prima uno, poi due, poi tre.

Tre corpi segnati dallo stesso simbolo. Tre viaggiatori dello stesso cammino, ognuno con una storia diversa, ma ora legati da un segno comune.


© Luisa Ravasi

Il tatuaggio è un ritorno

Mentre scrivo, sono immersa in un nuovo capitolo di questo viaggio alla scoperta delle tradizioni del tatuaggio. Ma grazie al tempo passato nella giungla, ho capito che questa pratica non è moda, non è ribellione. È memoria. È identità. È un ritorno a qualcosa che esisteva prima di noi. Lo facciamo perché vogliamo essere parte di qualcosa, perché abbiamo bisogno di lasciare un segno, di ricordare chi siamo. E forse, in fondo, tatuarsi non è altro che un modo per dire: “Io sono qui, e questa è la mia storia”.

I Mentawai non celebrano i tatuaggi con rituali solenni. Non servono. Il tatuaggio è in sé un rituale. E forse è proprio questo che abbiamo dimenticato.


© Luisa Ravasi

Profilo Instagram: ralu_in_cammino