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Inchiesta Ceneri, un buco nero di non informazioni

Nel Decreto di abbandono il pp Gianini evidenzia l’assenza di dati certi sul numero di operai impiegati (e straordinari fatti) nella fase indagata

Sotto la lente la fase di posa dei binari fra il 2017 e il 2018
(Ti-Press)
7 marzo 2025
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“La situazione emersa dalle indagini risulta essere ben diversa dall’ipotesi descritta inizialmente dai denuncianti”. Dalle cui dichiarazioni, rilasciate da loro e da altri soggetti interrogati e che hanno lavorato nel cantiere, “sono emerse numerose incongruenze”. In definitiva “alla luce dei dati raccolti, le ipotesi di reato avanzate (ndr: usura e violazioni alla Legge sul lavoro) non hanno trovato indizi sufficienti per promuovere una qualsiasi accusa, dato che la descrizione sia dell’asserito superamento delle ore lavorate, sia della carente sicurezza sul cantiere, è risultata generica oltre che non sorretta da prove sostanziali”. Questo il succo del Decreto di abbandono con cui il procuratore pubblico Andrea Gianini lo scorso 5 dicembre ha archiviato l’inchiesta aperta nel 2019 a carico di ignoti nel contesto della fase finale di realizzazione del tunnel ferroviario di base del Ceneri, e meglio la posa dei binari avvenuta fra l’estate 2017 e l’estate 2018. La decisione penale di cui abbiamo riferito lo scorso 13 gennaio – mentre oggi siamo in grado di pubblicare le motivazioni – non è stata impugnata dalle parti e segue di un mese l’accordo extragiudiziale raggiunto in novembre dai dieci operai denuncianti con la ditta controparte che li aveva impiegati, la Generale costruzioni ferroviarie Gcf di Roma con filiale a Bellinzona e patrocinata dall’avvocato Emanuele Stauffer. Quello che emerge dalle 13 pagine di motivazioni (ne parliamo più avanti) è l’assenza di dati certi sul numero di operai impiegati e sulle ore straordinarie lavorate: un buco nero informativo, nonostante perquisizioni negli uffici e sequestri di materiale vario, che ha reso impossibile radiografare il quadro nel suo complesso. E stabilire eventuali colpe.

I denuncianti tacitati hanno chiesto l’archiviazione

La cifra pattuita per ore straordinarie non pagate ammonta a 390mila franchi. Un risultato raggiunto al termine della seconda trattativa civilistica avviata dopo che la prima era fallita a inizio 2022. Risultato che però, come detto, non palesa il reato di usura “che si ritiene realizzato – scrive il pp Gianini nelle motivazioni – unicamente se fra il salario dovuto e quello erogato si riscontra una sproporzione di almeno il 30-35%”. La domanda è: l’accordo ha influito sulla decisione penale? No secondo il pp Gianini: la decisione di abbandonare il procedimento è da lui ritenuta “pienamente rispettosa del principio in dubio pro duriore”, secondo cui se un’assoluzione è probabile ma una condanna non è esclusa, l’imputato dev’essere processato. Gianini scrive però anche che sono stati i denuncianti stessi – uno patrocinato dall’avvocato Marco Broggini e gli altri nove dall’avvocato Riccardo Balmelli, tutti inoltre assistiti dal sindacato Unia – a chiedere che l’inchiesta venisse archiviata.

‘Ben lungi dall’essere realizzati’

Infatti, come si legge nelle motivazioni, i due legali degli accusatori privati – tutti residenti in Italia e assunti dalla Gcf come distaccati per periodi variabili, ossia una minima parte degli operai impiegati – lo scorso novembre hanno informato il magistrato che tutti “si sono dichiarati interamente tacitati rispetto alle pretese economiche”. Hanno altresì dichiarato di “desistere dal procedimento penale, chiedendo che si procedesse con l’emanazione di un decreto di abbandono”. Avevano il diritto di farne richiesta? Sì, in quanto denuncianti per reati a querela di parte. Detto altrimenti, una volta ottenuto quanto gli spettava dal profilo finanziario, avevano tutte le ragioni per sollecitare l’archiviazione dell’inchiesta che loro stessi avevano innescato. Altra domanda: il procuratore ha aderito alla richiesta acriticamente? Lo stesso Gianini puntualizza che “indipendentemente dalla desistenza dei denuncianti, che potrebbero aver deciso poiché conquistati da una prospettiva finanziaria, lo scrivente ritiene, così come lo riteneva anche contestualmente alla prima trattativa del 2020/21, che gli elementi costitutivi dei reati prospettati sono ben lungi dall’essere realizzati”.

Lavoro 24 ore di fila, intimidazioni e trattenute in busta paga

In merito a cosa sarebbe capitato durante la prima trattativa, il procuratore scrive che “visto quanto stava emergendo dagli interrogatori, ossia l’impossibilità di dimostrare in maniera oggettiva e concludente un superamento usurario dell’orario di lavoro, e vista l’inesistenza di situazioni configuranti un rischio concreto per la salute degli operai, tra il 2020 e il 2021 le parti hanno iniziato una trattativa destinata a sfociare nel pagamento degli straordinari che potevano essere riconosciuti dal datore di lavoro”. Dal canto suo il principale accusatore nel primo verbale ha spiegato di aver lavorato in due occasioni per 24 ore di fila e, altre volte, di aver cominciato il turno successivo dopo solo tre ore di riposo. In un caso, proseguiva il racconto, un suo collega “ha subìto intimidazioni” da un superiore che lo avrebbe minacciato di licenziamento per aver lasciato la postazione dopo 12 ore. Pure segnalate trattenute in busta paga motivate con la dicitura ‘prestiti’ e indicati alcuni infortuni dovuti alla mancanza di protezioni alle ruote di una motrice (alla fine è stato accertato un solo ferimento non grave a una caviglia e la lacuna alle ruote è stata risolta).

LE INCONGRUENZE

‘Orari spesso superati’ ‘No, badge difettosi’

Pure interrogata, la responsabile del controllo sicurezza in galleria ha confermato che “soprattutto per i macchinisti gli orari erano regolarmente superati”, con turni oltre le 16 ore consecutive. Per le altre mansioni ha parlato di “due turni consecutivi invece di uno per la maggior parte degli operai”. Conferma giunta anche da un membro della direzione lavori fra il 2017 e il 2019: “Poteva capitare che alcuni operai svolgessero due turni di fila”. Un addetto al trasporto degli operai in galleria ha confermato sia il loro superamento delle ore, sia però anche errori di calcolo delle ore dovuti al malfunzionamento dei badge. Un assistente di cantiere impiegato nel turno di notte ha spiegato che “le ore fatte in più venivano compensate con una partenza anticipata il venerdì” e che “gli straordinari, se c’erano, venivano gestiti dai capisquadra”.

Ha confermato solo in parte questa modalità un coordinatore tecnico: “I turni per la maggior parte venivano rispettati” e “gli straordinari non venivano indicati perché se li gestivano fra di loro all’interno delle squadre”. Ha poi negato l’esistenza di altri problemi sul cantiere o in busta paga. Una consulente della sicurezza ha parlato di pochi infortuni e di non sapere di doppi turni. Un capocantiere ha dichiarato di aver lavorato anche 16 ore di fila e che gli operai assunti in Italia da Gcf “lavoravano più di otto ore, mentre gli interinali assunti in Svizzera ne facevano solo otto”. Da notare che oltre ai distaccati italiani denuncianti, c’erano lavoratori residenti in Albania “che non risulta abbiano mai sollevato rimostranze”. Idem gli interinali coinvolti da ditte ticinesi. Quanto all’asserita insufficiente sicurezza, scrive ancora il procuratore nel Decreto di abbandono, “dall’insieme delle dichiarazioni non è emersa alcuna situazione di reale pericolo”.

‘Manca l’obbligo di allestire i conteggi’

Nemmeno la documentazione acquisita dagli inquirenti ha permesso di verificare nel dettaglio, come detto all’inizio, il quadro nel suo insieme: “Nessuna delle autorità” cui il pp Gianini si è rivolto “ha saputo indicare con precisione, fra luglio 2017 e luglio 2018, in quali e per quanti giorni e per quante ore mensili avevano lavorato gli operai. Nemmeno il numero esatto di lavoratori, stimati fra 130 e 150, ha potuto essere stabilito con esattezza”. Non solo: i badge preposti a registrare la loro entrata e uscita dalla galleria a bordo del treno da cantiere “capitava che non sempre lo facessero, un po’ per la velocità, un po’ per la polvere o per un funzionamento deficitario”. E cosa ancora più strana: “Trattandosi delle ore effettuate giornalmente dal singolo lavoratore, non esiste una norma che impone al datore l’obbligo di allestire dei conteggi precisi”. Il tutto nella rigorosa e fiscale Svizzera.

IL RUOLO DEI MEDIA

Il magistrato critica, ma Falò ha dettagliato

Le evidenze di natura penale non hanno dunque trovato un riscontro che permettesse di giungere a un’ipotesi di colpevolezza e sfociare in un rinvio a giudizio. Per contro, due dettagliate inchieste giornalistiche realizzate da Falò (Rsi) nell’aprile 2019 e nell’aprile 2022 hanno portato alla luce un quadro assai critico, sia al Ceneri sia in altre parti d’Europa dove Gcf ha operato. Finendo, come successo tre volte in Danimarca, dove vi è stata anche una condanna penale, per tacitare gli operai assistiti dai sindacati nelle rispettive procedure. Approfondimenti giornalistici – con tanto di interviste e dichiarazioni molto pesanti a carico di Gcf – tuttavia non graditi al procuratore Gianini, a tal punto da scrivere: “L’intromissione dei media, spesso caratterizzata da imprecisioni e interpretazioni fuorvianti, è stata riproposta in maniera inopportunamente invasiva” dopo la riattivazione dell’inchiesta nella prima parte del 2022. Proprio quando è emerso che i due fratelli Rossi titolari della Gcf di Roma, uno lo è anche della succursale bellinzonese, sono risultati indagati in Lombardia per l’ipotesi di infiltrazione mafiosa negli appalti di manutenzione della rete ferroviaria nel Nord Italia.

Reati che entrambi respingono e per i quali sono ora sotto processo davanti al Tribunale di Varese, insieme a molte altre persone accusate di legami con la ’ndrangheta. A inizio processo, in corso da gennaio nell’aula bunker, i vari legali hanno chiesto lo spostamento del processo a Catanzaro (Calabria) lontano dal fulcro milanese delle indagini. La decisione sarà resa nota prossimamente. Tornando ai servizi di Falò, non combaciano con quanto asserisce il pp Gianini, secondo cui nessun operaio albanese avrebbe mai sollevato rimostranze. Infatti, risulta che il primo a deporre in polizia è stato proprio un operaio (all’epoca albanese e nel frattempo naturalizzato italiano) che anche davanti alle telecamere ha denunciato la pratica del caporalato (taglieggiamento salari nell’ordine del 30%) indicando una quarantina di colleghi suoi connazionali vittime di cinque ‘caporali’. Ben presto le sue dichiarazioni sono state rafforzate da quelle di un collega di origini marocchine, anch’egli nel frattempo naturalizzato italiano, cui si sono aggiunte quelle degli altri otto accusatori privati. Dalla loro denuncia in polizia all’apertura formale dell’inchiesta erano passati diversi mesi e l’inchiesta è stata archiviata dopo sei anni.

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