Condannato a tre anni e mezzo di carcere ed espulso un 26enne albanese che ha spacciato cocaina e detenuto eroina
Era un cosiddetto ‘cavallino’, un corriere della droga inviato appositamente in Svizzera per smerciare la sostanza. Era soltanto una pedina, l’ultimo anello di una più complessa catena, di un’organizzazione criminale albanese addetta al traffico di cocaina ed eroina attiva nel nostro territorio. Padre di due figli, impiegato come gessatore, il 26enne era partito dall’Albania, dove viveva con la famiglia, per cercare di procurarsi il denaro ed estinguere una delle ipoteche sulla sua casa. L’attività criminale gli avrebbe fruttato un compenso di duemila euro che gli avrebbe permesso di pagare parte del debito ed evitare il pignoramento. Poi l’arresto, scattato un anno fa. Alla luce dell’accaduto «non ne valeva proprio la pena», ha dichiarato dinanzi alla Corte delle Assise criminali di Bellinzona riunite a Lugano, presiedute da Marco Villa, giudici a latere Renata Loss Campana e Fabrizio Monaci. Reo confesso e incensurato, ritenuto colpevole di infrazione aggravata alla Legge sugli stupefacenti, l’imputato è stato condannato a tre anni e sei mesi da espiare, cui va dedotto un anno di carcerazione preventiva. Decisa anche l’espulsione dalla Svizzera per otto anni.
In pochi giorni fra il 4 e il 27 maggio 2024 ha spacciato nel Bellinzonese e in altre località ticinesi circa mezzo chilo di cocaina e al momento del fermo è stato trovato in possesso di una quantità analoga di droga destinata alla vendita. Per un giorno il 26enne ha inoltre detenuto al domicilio di una persona che lo ospitava anche un chilo di eroina. Nella commisurazione della pena la Corte ha tenuto conto di alcune attenuanti: l’infanzia difficile (orfano già in tenera età), la giovane età all’epoca dell’arresto (non aveva ancora 25 anni) e il carcere già subito (circa un anno). La Corte ha qualificato come grave la colpa considerato l’importante quantitativo di droga venduta, per il guadagno conseguito e per il fatto che l’agire illecito è stato interrotto soltanto dall’arresto. La Corte lo ha ritenuto colpevole anche di ripetuto riciclaggio di denaro per aver consegnato in più occasioni al suo mandante 28mila franchi derivanti dalle vendite della droga ai consumatori locali e per avere inviato in due occasioni alla compagna complessivi 1’600 franchi, ovvero il suo compenso per l’attività di spaccio.
Il procuratore pubblico Roberto Ruggeri lo aveva anche accusato di entrata illegale, per essere giunto in Svizzera con l’unico scopo di commettere reati, soggiornando presso tre diverse persone domiciliate nel Bellinzonese che l’imputato ripagava per l’ospitalità regalando loro cocaina. «È stato arrestato con le mani nella marmellata e oggi deve pagare il conto», ha affermato il pp. Un ‘conto’ tradotto dall’accusa con una richiesta di pena di 5 anni e 4 mesi di detenzione più l’espulsione dalla Svizzera per otto anni. «È venuto qui pensando di guadagnare soldi facili, spinto dall’ingordigia, visto che la sua situazione economica non era davvero così difficile. E in sole tre settimane ha spacciato mezzo chilo di cocaina, un quantitativo notevole, segno di un’intensa attività criminale». A pesare su di lui vi è poi quel chilo di eroina: «Ricevuta anche questa sostanza, una volta a casa ha aperto le confezioni, ha messo la droga su una teglia, l’ha messa in forno e l’ha scaldata per renderla pronta al consumo», ha spiegato il procuratore. «Fosse stato davvero allergico, come ha sostenuto durante l’inchiesta, non lo avrebbe fatto e non si sarebbe occupato di questa preparazione. Inoltre dopo la prima consegna di 600 grammi, se vi fosse stata effettivamente un’allergia, poteva opporsi alla seguente consegna di altri 400 grammi, cosa che non ha fatto», ha evidenziato. Secondo il pp, durante l’inchiesta l’imputato ha collaborato ‘a singhiozzo’ perché se per quanto riguarda la cocaina ha fornito agli inquirenti molte informazioni, lo stesso non si può dire per l’eroina: «Ha parlato della prima consegna di 600 grammi ma non ha detto nulla riguardo alla seconda di 400, avvenuta lo stesso giorno, che è emersa soltanto dall’analisi del suo cellulare».
Dal canto suo la difesa rappresentata dall’avvocata Sandra Xavier si è battuta per un’importante riduzione della pena chiedendo che il suo assistito venisse condannato a una pena detentiva di 12 mesi e 24 mesi sospesi per 2 anni. «Di solito in questi casi la parola chiave è ‘omertà’ ma qui l’imputato ha dimostrato piena collaborazione», ha fatto presente la legale. Nella commisurazione della pena la patrocinatrice ha invitato a tener conto del fatto che il suo assistito è reo confesso e che ha collaborato attivamente con gli inquirenti, «i quali hanno così concluso l’inchiesta in tempo record». Il 26enne ha denunciato apertamente tutto quanto a lui noto fornendo dichiarazioni spontanee: «Una scelta coraggiosa e probabilmente pericolosa per la sua incolumità. Questa attitudine merita di essere adeguatamente considerata». Un agire che secondo la legale corrisponde a un sincero pentimento: «Non si è trincerato dietro al silenzio, ma ha fornito informazioni utili a sventare l’organizzazione criminale albanese attiva nel nostro territorio. Di cui lui era solo il cavallino, l’ultima pedina. Con la sua collaborazione nell’indicare meccanismi e modalità di operazione, ha dimostrato di volersi staccare da quel mondo».
Quanto al chilo di eroina la difesa ha evidenziato che gli era stato consegnato senza preavviso, con l’istruzione di procedere alla vendita al dettaglio. «Lui però si è rifiutato. Voleva liberarsene e il possesso è durato solo un giorno», ha precisato Xavier. Quando è stata concessa l’ultima parola all’imputato – accompagnato in aula da un’interprete – si è scusato per quanto fatto e ha espresso il desiderio di poter tornare al più presto dalla sua famiglia.