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Cure a domicilio, preoccupa il travaso dal Ticino al Moesano

Daria Berri-Cereghetti, per 38 anni direttrice dello Spitex-Acam, è da poco in pensione: ‘Il Covid momento più difficile. Richieste in crescita costante’

9 luglio 2025
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Dopo 38 anni di attività quale direttrice dell’Associazione cura e assistenza a domicilio nel Moesano (Acam) Daria Berri-Cereghetti, giunta al beneficio della pensione, ha passato il testimone al 39enne Gilles Müller, entrato in carica il 1° aprile. Con l’ex responsabile dello Spitex tracciamo un bilancio di un’attività iniziata nel 1987 e soggetta nel corso degli anni a uno sviluppo che l’ha portata a contare oggi 124 collaboratori, 76 posti di lavoro, 13 volontari, altrettanti apprendisti e un numero di pasti consegnati che tocca quota 22’000 all’anno.

L’intervista non inizia dall’aumento esponenziale del servizio, bensì dalla stretta attualità: il sempre crescente numero di infermiere private che operano in Mesolcina e Calanca abitate da quasi 9’500 persone (come il quartiere di Giubiasco). Un proliferare di offerta col quale pure il Ticino è confrontato, a tal punto da aver introdotto lo scorso dicembre una moratoria che sospende il rilascio di nuove autorizzazioni a esercitare a carico della LAMal. Da qui il travaso a nord di Monticello. «Il problema esiste e premetto che non si tratta di timore di una concorrenza a volte persino salutare», attacca Daria Berri-Cereghetti: «Semmai è fondamentale che le autorità regionali e cantonali comprendano come l’incremento delle infermiere autonome possa generare difficoltà finanziarie non solo per l’Acam, ma anche per Coira. Un messaggio tutt’altro che semplice da far passare, ma indispensabile».

Per farsi un’idea della situazione è utile capire il funzionamento del sistema di finanziamento dei servizi Spitex: «Il calcolo delle quote di partecipazione di Cantone e Comuni si basa sulla media dei costi delle prestazioni erogate (ore di cura, aiuto domestico, pasti a domicilio ecc.). L’importo medio tiene conto sia degli interventi meno onerosi, sia di quelli più costosi. Di conseguenza l’Acam genera un profitto sui primi, che viene poi utilizzato per compensare le spese maggiori sostenute per i secondi. Tuttavia se le infermiere autonome si concentrano esclusivamente su interventi a basso costo e ad alta redditività, l’Acam si troverà a gestire solo quelli più onerosi. Ma questi ultimi, che per legge è tenuta a fornire, non sono più sostenibili finanziariamente senza il margine di profitto garantito dagli interventi meno costosi».

‘Alcuni servizi a rischio chiusura’

Una situazione che rischia di mettere in pericolo alcuni dei traguardi raggiunti dall’Acam: «Negli ultimi anni abbiamo ripetutamente chiuso i bilanci con significativi avanzi, fondi che sono stati impiegati per istituire servizi a beneficio della comunità. A Roveredo, ad esempio, è stata costruita la nuova sede con annesso centro diurno, poi è stato implementato un servizio di trasporto e sono stati stretti accordi su cure palliative e diabete. Opere finanziate grazie a un equilibrio favorevole tra interventi a basso e ad alto costo. Tuttavia il loro futuro potrebbe essere incerto se il trend dovesse continuare, a causa della possibile mancanza dei finanziamenti necessari. Si potrebbe arrivare a dover considerare la chiusura di alcuni servizi o, in alternativa, un incremento dei finanziamenti politici. È cruciale che il messaggio venga recepito, sebbene la situazione non sia altrettanto critica in altre regioni del cantone, rendendo difficile a Coira comprendere la gravità della posta in gioco».

Una vocazione, quella di Daria Berri-Cereghetti, nata quasi per caso e che l’ha portata in ambito sanitario partendo dalla professione di maestra elementare: «Non avevo avuto una formazione nel campo della sanità. Insegnavo a Roveredo, poi mi sono trasferita ad Arvigo in quella che era l’ultima scuola della Calanca. Quando è stata decisa la sua chiusura e i bambini sono stati tutti spostati a Castaneda, mi sono ritrovata disoccupata, per cui ho deciso di entrare in Pro Juventute e ho avuto l’opportunità di collaborare a un progetto con Antenna Icaro e Comunità Familiare. Progetto cui prendeva parte l’allora assistente sociale regionale Renata Winkler. È stata lei a propormi la gestione dell’associazione di aiuto domiciliare, un’offerta che ho accettato senza esitazione. Ho iniziato con un impegno di poche ore settimanali, ma ben presto mi sono ritrovata a dedicare il cento per cento del mio tempo a questo lavoro, e anche di più durante i mesi del Covid. Questa attività mi ha appassionato profondamente e mi ha permesso di crescere professionalmente all’interno del sistema».

EMERGENZE

La lunga notte della pandemia

I servizi dell’Acam sono stati messi a dura prova nei lunghi mesi del Covid: «È stato un periodo estremamente impegnativo. All’inizio della pandemia le incertezze erano molteplici: non si comprendeva appieno la natura del virus, quali trattamenti fossero più efficaci, né come la situazione si sarebbe evoluta nel breve termine. Non avevamo a disposizione nemmeno il materiale di protezione e ci siamo dovuti attivare, anche per far capire a Coira che da noi la situazione era peggiore rispetto al resto del cantone. Dopo aver ricevuto in dono uno scatolone di mascherine, abbiamo potuto inviare i nostri collaboratori a prendere contatto con le persone bisognose d’aiuto. In quei giorni è stato fondamentale il lavoro svolto da Linda Mossi Sammali, capocure del servizio, la quale ha trovato tutte le strategie possibili per garantire l’assistenza a domicilio malgrado il lockdown. A livello organizzativo si è trattato di un lavoro estenuante. Ad esempio, per il servizio di consegna dei pasti ci siamo trovati con una carenza di collaboratori. Questo perché la maggior parte di essi era già in pensione e, di conseguenza, costretta per legge a rimanere in casa durante quelle terribili settimane. Quando poi è entrato in funzione lo Stato maggiore regionale abbiamo trovato l’appoggio dei militi di Protezione civile. Ovviamente la relazione con i pazienti ha subìto un deterioramento a causa del clima di paura generale. Ricordo per esempio che in certi casi dovevamo lasciare il nostro pacco direttamente sulla soglia di casa. I pazienti, infatti, si rifiutavano di avere contatti diretti con i nostri volontari, temendo il contagio. Il nostro personale ha dimostrato un comportamento che definirei quasi eroico. Nonostante alcuni rapporti siano stati tutt’altro che facili, nessuno si è mai sottratto, nemmeno nelle fasi più critiche dell’epidemia».

L’alluvione e la frana

Il periodo del Covid è stato senza dubbio il più arduo, ma gli anni di attività del servizio Spitex sono stati costellati di sfide. L’ultima in ordine di tempo, come ricorda Daria-Berri Cereghetti, «è legata all’alluvione di un anno fa. In quei giorni ero assente per vacanza; l’impegno maggiore è stato gestito giorno e notte da Linda Mossi Sammali e Katia Savioni. Il problema non era tanto Sorte, quanto la parte superiore della valle, rimasta isolata. Grazie all’intesa con lo Stato maggiore regionale, i nostri collaboratori hanno potuto approfittare dei voli con gli elicotteri per raggiungere le zone a nord dell’alluvione. Anche la frana in Calanca di fine 2022 ci ha messo a dura prova. Sebbene gli abitanti della valle interna fossero pochi, non potevano essere lasciati senza assistenza. Per questo motivo un nostro infermiere si è reso disponibile ad attraversare la frana con i mezzi di soccorso, così da essere presente sul posto per le prime necessità. In un secondo tempo abbiamo reperito un ristorante per la preparazione dei pasti e abbiamo potuto toccare con mano la solidarietà della popolazione: molte persone hanno preso contatto col nostro ufficio, offrendosi quali volontari nel caso in cui avessimo avuto bisogno di aiuto».

In origine fu l’assistenza

Quando Daria Berri-Cereghetti ha assunto la direzione nel 1987, l’associazione era già attiva da trent’anni, «ma a quei tempi non si parlava di cure a domicilio, bensì di assistenza, di aiuto domiciliare per le persone bisognose. Col passare del tempo sono giunte le prime richieste da parte della popolazione, soprattutto dalle numerose famiglie con anziani a carico. «Richieste alle quali eravamo costretti a rispondere negativamente, poiché gli statuti limitavano l’intervento alla sola assistenza, impedendoci di agire in un ambito più ampio. Data la crescita delle sollecitazioni, ho insistito con il comitato dell’epoca affinché l’associazione inserisse anche il servizio di cura nel suo ‘cahier de charge’. Con anni di esperienza, le cure a domicilio hanno acquisito un’importanza crescente e hanno raggiunto un livello di qualità eccezionalmente elevato. Questo ci permette di fornire a domicilio anche cure post-ospedaliere». Il tutto col supporto di una rete di medici di famiglia capillare e attiva: «Da questo punto di vista nel Moesano siamo fortunati. Abbiamo medici molto disponibili per le visite a domicilio, il che ci permette di poter seguire anche pazienti oncologici o malati terminali. Rispetto alla realtà di altre regioni del cantone, ma anche del Ticino, possiamo considerarci un’isola felice».

‘Meno tempo da dedicare ai malati’

In quasi quattro decenni sono cambiati i metodi di lavoro, ma pure i pazienti: «Le richieste sono in costante aumento al pari delle pretese. Anni fa era sufficiente segnalare l’arrivo ‘in mattinata’ e tutti si ritenevano soddisfatti. Adesso se l’appuntamento è fissato per le 8 e alle 8.05 non si è ancora sul posto, scattano immediatamente le telefonate di protesta. Non bisogna fare di ogni erba un fascio, tuttavia è innegabile che da questo punto di vista le persone siano molto meno accondiscendenti. Da parte nostra è cambiato il rapporto umano con i pazienti, diventato più difficile e frammentario a causa del numero sempre crescente di casi da seguire. Per i nostri collaboratori, va detto, la ricerca di un contatto umano con i pazienti e con i loro parenti permane un aspetto fondamentale del lavoro, ciò nonostante non si può negare come l’incremento dei casi abbia ridotto il tempo da dedicare a ogni singolo malato».

‘Asili nido per i figli delle collaboratrici’

C’è ancora un sogno nel cassetto di Daria Berri-Cereghetti, dopo 38 anni di carriera? «In futuro andrà senza dubbio sviluppato l’ambito della cura psichiatrica a domicilio: i casi aumentano, il personale manca. Si tratta di capire quali percorsi intraprendere per giungere all’obiettivo, ma è una strada che occorrerà giocoforza esplorare. Tuttavia il sogno nel cassetto è rivolto alle giovani donne che desiderano lavorare pur avendo figli a carico. Molte delle nostre collaboratrici sono madri con figli, e la nostra regione soffre di una carenza di strutture di supporto come gli asili nido. L’Opera Mater Christi ne ha aperto uno, ma non è sufficiente; occorrerebbe una maggiore offerta. Pur essendo conscia delle difficoltà, si tratta di un tema sul quale stavo riflettendo: i criteri per poter aprire un asilo nido non sono per nulla semplici, occorre trovare il personale adeguato e poi rimane l’aspetto del finanziamento, perché se il costo di una giornata al nido è superiore a quello dello stipendio percepito, tanto vale». Daria Berri-Cereghetti ha lasciato la direzione dello Spitex-Acam, ma non per questo smetterà di prodigarsi a favore di chi necessita di un sostegno.