Pena di 4 anni e 10 mesi al 78enne che ha violentato la nipote, al quale la Corte delle Assise criminali ha inflitto anche un trattamento ambulatoriale
«Dal profilo umano ha dimostrato una bassezza incredibile, cercando di dipingere la vittima come mentitrice». Un giudizio netto e chiaro quello della Corte delle Assise criminali di Lugano, presieduta da Amos Pagnamenta, che ha condannato a 4 anni e 10 mesi il 78enne che ha abusato della nipote fra i suoi 7 e 11 anni. L’atto d’accusa è stato riconosciuto pressoché integralmente. Rispetto ai 7 anni invocati dalla procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis, la pena è stata rivista significativamente al ribasso soprattutto in virtù dell’età dell’imputato.
I fatti, ricordiamo, si sono svolti fra il 2019 e il 2023. Perlopiù toccamenti di vario genere, sfociati però in una violenza carnale completa la vigilia di Natale di due anni fa. Vittima delle attenzioni pedofile dell’uomo, la bambina – residente in Svezia con la famiglia –, nipote acquisita con la quale si era creato negli anni precedenti un rapporto di fiducia. L’imputato, e la legale della difesa Laura Rigato, hanno contestato sia il numero di episodi, quantificato in una decina dalla pp, sia i fatti più gravi del 2023. Un processo indiziario dunque, e come ricordato dal giudice, in tali casi a contare è la credibilità di vittime e imputati. Le versioni della prima «sono apparse costanti e credibili, malgrado alcune incongruenze. A parte l’episodio del coltello (secondo l’accusa, dopo l’ultima violenza la bambina sarebbe stata minacciata proprio con una lama da cucina, ndr), che è poco verosimile, le sue dichiarazioni non riportano esagerazioni, ma sono sincere e genuine. Ricordiamoci che si tratta di un’undicenne chiamata a raccontare di fatti difficili».
Viceversa, il nonno è «poco credibile. Ha raccontato diverse menzogne – ancora Pagnamenta –. Ad esempio, l’assenza di appetito sessuale stride col fatto che era un grande consumatore di pornografia e che stava curando l’impotenza. I suoi tentativi di attribuire la responsabilità dei fatti alla nipote, dicendo che lo avrebbe provocato, sono a dir poco meschini». La Corte ha ricordato che l’imputato non ha collaborato con gli inquirenti e che «solo temendo un rinvenimento di tracce biologiche sul corpo della bambina ha ammesso il minimo indispensabile (ovvero rapporti orali, ndr)». La sua colpa è stata dunque definita grave sia dal punto di vista oggettivo – in quanto «ha commesso reati odiosi che hanno causato gravi danni psicologici alla vittima, terminati solo perché la bambina ha trovato la forza di denunciare quel che stava accadendo» –, sia da quello soggettivo, perché ha agito per puro egoismo.
A tal proposito, il giudice ha precisato che è «vergognoso il tentativo di sostenere che stesse facendo un favore alla bambina. Cercava solo di appagare la propria pedofilia. E non sembra essersi neanche reso conto della gravità di quanto commesso». La Corte lo ha quindi condannato a 4 anni e 10 mesi, a un trattamento da iniziare già in carcere, ordinando il divieto a vita di effettuare attività che implicano il lavoro con i minori. Parzialmente accolta la richiesta di risarcimento per torto morale (20’000 franchi invece di 30’000) avanzata dall’avvocata Maria Galliani, patrocinatrice della bambina costituitasi con la famiglia accusatrice privata. Sebbene l’atto d’accusa sia stato accolto quasi integralmente, non sono mancate delle critiche alla pubblica accusa. «Ci sono diversi aspetti dell’inchiesta (condotta parzialmente in Svezia, ndr) che destano perplessità» ha detto Pagnamenta. Ad esempio, ci si chiede come mai non sia stata effettuata una visita medica specialistica della vittima dopo che è emersa l’accusa di violenza carnale, per escludere la temuta gravidanza o malattie sessualmente trasmissibili. E ancora: «Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, il confronto (tra vittima e imputato, ndr) è stato effettuato in modalità insufficiente. È necessario che la vittima racconti tutto da capo, senza degli imboccamenti ai quali rispondere sì o no. Solo pochi episodi sono stati circostanziati. Lacune, che hanno complicato il lavoro della Corte».