Alle Assise correzionali è stata inflitta una pena sospesa e cinque anni di espulsione a un giovane in cura alla Clinica psichiatrica cantonale
Doveva essere un pomeriggio spensierato al parco di Casvegno, come tanti altri, tra padre e figli. Ma è stata sfiorata la tragedia. Il 7 marzo scorso, mentre giocavano con il monopattino e la bicicletta, due bambini sono stati improvvisamente fermati da un 29enne, oggi comparso davanti alla Corte delle Assise correzionali. Senza un apparente motivo, il giovane – olandese e senza fissa dimora –, si è scagliato contro il figlio maggiore, comunque di soli 10 anni, che si trovava sul monopattino: dapprima lo ha afferrato per i polsi, facendolo roteare attorno a sé e lasciandolo poi cadere a terra. Successivamente, quando il bambino ha cercato di rialzarsi, lo ha fatto nuovamente cadere per poi colpirlo con un calcio allo stinco e un secondo nella parte alta del corpo. Un comportamento che l’imputato non è riuscito a spiegare, a causa delle sue turbe mentali e del consumo di droga avvenuto pochi istanti prima. La Corte lo ha condannato a sette mesi sospesi condizionalmente per tre anni per tentate lesioni gravi, non per tentato omicidio come ipotizzato dal procuratore pubblico Alvaro Camponovo.
In aula si è parlato soprattutto del passato del condannato. Dopo una fuga attraverso mezza Europa per evitare un ricovero coatto nei Paesi Bassi, il giovane è stato fermato a Neuchâtel e ricoverato in una clinica. Da lì è nuovamente riuscito a fuggire con l’intenzione di raggiungere la Germania, ma, respinto alla dogana in quanto ritenuto una persona violenta, è arrivato in Ticino ed è stato portato alla Clinica psichiatrica cantonale. Dopo un’altra fuga e un nuovo respingimento alla frontiera a Basilea, è stato riportato alla clinica di Mendrisio. Due giorni dopo quest’ultima fuga, ha commesso l’episodio di violenza – l’ultimo in ordine di tempo, ma non l’unico, dato che nel suo passato figurano già condanne in diversi Paesi europei per reati simili –. In aula, il giovane ha parlato poco e si è limitato a dire: «Avevo fumato e non c’ero con la testa», scusandosi per il suo gesto e spiegando: «Non ho calciato molto forte, non volevo fargli del male». Tuttavia, da quanto emerso durante il processo, il suo gesto violento si è interrotto solamente dall’arrivo di un infermiere.
A pesare, sono state le testimonianze dei presenti, dal momento che – come ha sottolineato Camponovo – «in quell’area non è presente videosorveglianza». Sul posto, oltre a numerose famiglie, erano presenti anche diversi infermieri, e il padre che, pur se più distante, teneva d’occhio i due bambini. «Una delle signore interrogate ha riferito che l’ha strattonato, buttato a terra e colpito con un calcio. Un’altra ha spiegato che il 29enne ha sferrato un calcio con forza in direzione del volto di un bambino rannicchiato a terra». Tutte dichiarazioni considerate attendibili dal procuratore, anche perché confermate dal bambino, e che lo hanno portato a chiedere la condanna per tentato omicidio intenzionale: «Siamo di fronte a un adulto che prende a calci un bambino. La zona colpita avrebbe potuto causarne la morte; solo il caso ha evitato conseguenze più gravi». Il bambino, fortunatamente, ha riportato escoriazioni alla gamba e al volto. Il pp ha quindi chiesto una condanna a 18 mesi sospesi e l’espulsione per 5 anni.
L’avvocato Andrea Cantaluppi, in rappresentanza della famiglia della vittima – costituitasi accusatrice privata –, si è allineato alla richiesta del procuratore: «Un gesto inaccettabile, in un contesto che dovrebbe rappresentare un ambiente sicuro. Poteva avere conseguenze drammatiche ed essere l’inizio di un incubo». Per Cantaluppi, le responsabilità ricadono anche sul sistema di presa a carico di persone affette da disturbi mentali: «Bisogna chiedersi come sia possibile che una persona nota per la sua pericolosità possa muoversi liberamente in Svizzera senza alcun controllo. Sono tante le domande che, ancora oggi, restano senza risposta, ma che rimbombano alla luce di una perizia che parla di un rischio medio-alto di recidiva». Una considerazione che per il presidente della Corte Paolo Bordoli non è tuttavia pertinente al luogo: «Non è questa Corte che può stabilire che cosa è andato storto nella presa a carico sanitaria dell’imputato. Dobbiamo concentrarci su quello che ha fatto».
Come emerso nel corso del dibattimento, il condannato ha un passato turbolento, segnato da difficoltà croniche. «A tutti è capitato di incontrare una persona che dorme su un treno senza bagagli. Una persona che fruga nella spazzatura o che osserva immobile, con lo sguardo perso, la superficie dell’acqua del lago», ha detto l’avvocata Demetra Giovanettina, difensore del 29enne. «Tutti abbiamo già provato una sensazione di disagio pensando alle loro storie e questa è una di quelle. Una storia triste di una persona allo sbando». Considerazioni che hanno spinto la legale a chiedere una pena interamente sospesa per lesioni semplici, sostenendo che «non si può ignorare la sua capacità di intendere fortemente compromessa, il disturbo schizofrenico e il fatto che il colpo non sia stato sferrato con particolare violenza».
Tra la richiesta per tentato omicidio e quella per lesioni semplici, la Corte ha scelto una via intermedia: «Il tentato omicidio presuppone che, pur non volendo, l’autore stia compiendo un gesto potenzialmente letale, ma in questo caso non c’è certezza sull’intensità del calcio. Inoltre, il perito ha riferito che, in quel momento, il 29enne non era consapevole di ciò che stava facendo. E la Corte non può ignorare questo referto». La decisione è dunque ricaduta sul reato di tentate lesioni gravi, perché «non poteva non sapere che il colpo fosse pericoloso, e bisogna comunque tenere conto delle possibili conseguenze psichiche che avrebbe potuto causare al bambino», il quale – come ci hanno raccontato i genitori – non ha riportato gravi traumi fisici o psichici e, nonostante qualche flashback occasionale, è tornato più volte a giocare serenamente al parco.