Quasi 200mila franchi, 192’085 per la precisione, di indennizzo al netto di una discriminazione salariale basata sul sesso, e quindi non giustificata. È quanto spetta, “oltre interessi al 5% dall’inizio di ogni mese in cui si era realizzata la discriminazione”, a titolo di adeguamento salariale a una redattrice della Rsi. Lo ha stabilito il Tribunale d’Appello in una recente sentenza che conferma quanto già accolto dalla Pretutura del distretto di Lugano.
“La giurisprudenza – si legge nella sentenza – ha già avuto modo di stabilire che nei rapporti di lavoro di diritto privato qualora venga riscontrata una differenza di remunerazione fra lavoratori di sesso opposto con una posizione simile e mansioni comparabili si deve presumere che la stessa è di natura sessista, se il salario della lavoratrice è inferiore di circa almeno il 15-25% di quello di un suo collega maschio o se quella sua remunerazione è mediamente inferiore di almeno il 6% durante un periodo di cinque anni rispetto a quella di un suo collega maschio”. Non solo. “Nella misura in cui la discriminazione salariale è stata resa verosimile”, sta “al datore di lavoro dimostrare che la differenza di trattamento si fonda su motivi obiettivi”. Costituiscono motivi obiettivi, viene precisato, “quelli che possono influenzare il valore stesso del lavoro, come la formazione, l’anzianità, la qualifica, l’esperienza, il settore concreto d’attività, le prestazioni effettuate, i rischi incorsi. Delle differenze salariali possono giustificarsi anche per dei motivi che non si rapportano direttamente all’attività svolta, ma che derivano da preoccupazioni sociali, come gli oneri famigliari o l’età”. E quindi: “Qualora il datore di lavoro non riesca a dimostrare che la differenza di trattamento si fonda su motivi obiettivi, l’azione della lavoratrice va accolta, senza che sia necessario determinarsi sull’esistenza di una politica del personale sessista”. Nel merito della decisione del Tribunale d’Appello, dalla sentenza emerge come non siano state fornite “migliori prove, non evocate nell’appello”, che permettessero di stabilire che l’esperienza professionale della redattrice e di un collega – con una retribuzione più elevata – non fosse “sostanzialmente analoga”.
A influire sull’ammontare del salario della redattrice sarebbero state “anche l’attitudine e la prestazione globale del lavoratore”. Ovvero l’approccio e gli errori lavorativi della stessa. “Neanche questa giustificazione – sancisce il Tribunale d’Appello – appare convincente”. Tant’è, si legge nella sentenza, che “non è stato provato che l’attitudine e la prestazione globale dei due fossero state talmente diverse da giustificare il loro diverso trattamento salariale nei periodi in cui entrambi avevano avuto la medesima classificazione”. RED