Il governo chiede l'obbligo di sostituzione dei farmaci con generici o biosimilari e la riduzione di prezzo dopo vent'anni dal brevetto: ‘Dobbiamo agire’
La certezza granitica è che Raffaele De Rosa combatte, eccome se combatte. E sui costi della salute, vittima di un'impennata che si riflette poi largamente in quella dei premi di cassa malati, il direttore del Dipartimento sanità e socialità ripete lo schema di qualche anno fa: proporre delle iniziative cantonali, per andare a picchiare i pugni sul tavolo della Berna federale con proposte di buon senso che, se andassero a schiantarsi – cosa se non probabile almeno possibile – potranno permettere allo stesso De Rosa di aver detto di averci provato, ancora una volta, fino in fondo su una spesa «totalmente di competenza federale». Ed eccoci qua. Alle due iniziative cantonali che il Consiglio di Stato ha approvato nella seduta extra muros in Val Bedretto mercoledì, e che il diretto del Dss ha illustrato oggi alla stampa.
Con ordine. A livello nazionale, negli ultimi dieci anni la voce del costo dei medicamenti è letteralmente esplosa: «Sono stati superati i 9,2 miliardi di franchi, raddoppiando. Gli assicurati svizzeri spendono più che in ogni altro Paese europeo», sottolinea De Rosa. Che specifica pure come quello per i medicamenti sia un costo che rappresenta «quasi un quarto della Spesa per l'assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie (Aoms) in Ticino: il 22%».
Per carità, qualcosina è stato fatto. Si va dalla «dispensazione singola e non a scatoletta degli antibiotici, dove noi ticinesi siamo stati precursori, alla riduzione del prezzo dei medicamenti rimunerati dall'Aoms dopo il riesame triennale, passando per la promozione della dispensazione di generici e biosimilari: con differenze di prezzo rispetto ai prodotti originali più marcate e aumento dell'aliquota partecipazione ai costi, prima del 20% e ora del 40%». Tutto molto bello, ma insufficiente. Difatti, «ora bisogna stringere ulteriormente le viti», per De Rosa. Come? Con queste due iniziative cantonali: la prima, “Per l'obbligo di sostituire farmaci intercambiabili” e la seconda, “Per la riduzione dei prezzi dei farmaci alla scadenza dei brevetti”.
Di che si parla? L'intento della prima iniziativa è chiaro: «Laddove scientificamente provato che un farmaco generico o biosimilare sia ugualmente efficace e adatto al paziente, vogliamo inserire l'obbligo della sostituzione del farmaco originale – spiega De Rosa –. Oggi il farmacista ha l'obbligo di informare dell'alternativa, ma non è sufficiente, bisogna fare di più. Garantendo ovviamente l'approvvigionamento, e ancor di più ribadendo che in caso di criterio medico da seguire questo obbligo decade». Anche perché i numeri parlano chiaro: «Oggi siamo già al 70% di sostituzione con generici o biosimilari, ma in un Paese come la Germania si arriva al 92%. Vuol dire che c'è ancora buon margine di miglioramento, e un potenziale di risparmio». Inoltre, questa per il direttore del Dss è «un'occasione per informare e sensibilizzare l'opinione pubblica».
Con la seconda, si viaggia su un binario simile che porta alla stessa stazione: la riduzione dei costi. «È giusto proteggere e rafforzare l'industria farmaceutica – concede De Rosa –, ma dopo 20 anni dal conferimento del brevetto riteniamo che prezzo, fondi per la ricerca e lo sviluppo siano stati adeguatamente compensati per cui chiediamo l'obbligo della riduzione del prezzo dei farmaci alla scadenza di questi vent'anni».
Risparmio previsto? Non da poco: «Circa mezzo miliardo di franchi per ogni iniziativa, quindi – afferma ancora De Rosa –, con due misure incisive che non vanno a compromettere qualità delle cure e sicurezza dei pazienti, che non mette a rischio la sicurezza dell'approvvigionamento, responsabilizziamo tutti: operatori sanitari e pazienti, ma rimettiamo anche in equilibrio l'interesse pubblico e la sanità pubblica con l'attività privata: dopo 20 anni, non ci sono più elementi per giustificare prezzi così elevati». Con un miliardo l'anno, quindi il 10% della spesa per i medicamenti, ci sarebbe anche un riflesso nei premi di cassa malati: «Circa il 3% annuo».
Adesso, con il messaggio licenziato dal governo, la palla passa al Gran Consiglio. Col via libera parlamentare, inizieranno sia la trasmissione alle Camere federali delle iniziative, sia il possibile coordinamento con altri Cantoni per dare più peso alle proposte sotto la Cupola.
Nell'incontro con la stampa tenutosi nella Residenza governativa, De Rosa ha anche colto l'occasione per spiegare il contesto. Che è tutto tranne che sereno. A partire dalle principali voci di spesa sanitaria in Ticino: in cima si trova il settore medico (ambulatoriale più laboratori), che da solo assorbe 463 milioni di franchi, pari al 22% del totale. Seguono i medicamenti con 376 milioni (18%), gli ospedali con trattamenti ambulatoriali a 358 milioni (17%) e quelli stazionari con 333 milioni (16%, in calo grazie alla Pianificazione ospedaliera, uno dei pochi margini d'azione cantonali). Più contenute le cifre relative alle case di cura (7%, 150 milioni), alla fisioterapia (5%, 102 milioni), ai servizi Spitex (5%, 93 milioni) e ai laboratori (3%, 60 milioni). «Si tratta anche di fette minoritarie in termini percentuali», osserva De Rosa. «Ma crescono in modo costante e non vanno trascurate». A reclamare attenzione è anche la voce "altro", che rappresenta il 7% della spesa con 153 milioni, in aumento anche a causa della presa a carico da parte della LAMal delle prestazioni di psicoterapia: «Tutte spese da monitorare con attenzione», ricorda ancora il direttore del Dss.
Tra le cause dell’aumento dei costi sanitari, De Rosa indica «la forte presenza di fornitori di prestazioni, e di conseguenza l’alto volume di prestazioni erogate. Anche il fatto di cambiare continuamente cassa malati da parte dei cittadini, spinti dal desiderio di risparmiare, si ripercuote in aumenti di costi». Per invertire la rotta, servono interventi netti: «Controllare le prestazioni ambulatoriali, ridurre la spesa farmaceutica, evitare trattamenti superflui». A tutto ciò si aggiunge il ruolo della digitalizzazione, che passa attraverso la cartella informatizzata del paziente e l’estensione della telemedicina.
E il consueto refrain dei margini cantonali ridotti? È confermato, ed è vero. Ma appunto per questo, De Rosa rivendica quanto fatto finora: «Abbiamo sfruttato i margini, pur limitati, con attenzione. Ora non vanno vanificati». In ambito ambulatoriale, lo ricordiamo, è stata introdotta una moratoria che frena l’apertura di nuovi studi medici in otto specialità. Si punta anche sul rilancio della medicina di famiglia, con incentivi al ricambio generazionale. Invece, con la Legge sulle attrezzature, «si mira a contenere le spese per macchinari e tecnologie». Sul fronte Spitex e infermieri indipendenti, «l’innalzamento dei criteri qualitativi ha già prodotto effetti concreti: circa cento professionisti hanno rinunciato al contratto con il Cantone».
De Rosa ha anche (ri)aperto la porta alla possibilità di spingere verso una cassa malati unica: «Non per forza deve essere pubblica, ma la LAMal non funziona. Servono soluzioni, e a Berna».
Intanto, è nero su bianco. “In autunno” la Lega dei Ticinesi avvierà “la raccolta firme per l'iniziativa popolare a favore di un nuovo progetto di cassa malati unica per ogni beneficiario del sussidio cantonale”. Così si legge nel comunicato rilasciato ieri sera dal movimento. I dettagli dell’iniziativa, prosegue la nota, verranno illustrati “in occasione della festa per il 1° Agosto” che la Lega terrà sulla Piazza d’armi del Monte Ceneri. Tuttavia il deputato e tra i vicecoordinatori del movimento, Alessandro Mazzoleni, qualcosa anticipa. Anzitutto chiarisce: «Non proporremo una cassa malati unica cantonale alla quale tutti, sussidiati e non, devono affiliarsi. Il principio, che è un principio federale, secondo cui ogni assicurato è libero di scegliere la propria cassa malati verrebbe mantenuto. Nel caso però – ed è questa la nostra proposta – un assicurato dovesse chiedere allo Stato il sussidio per poter pagare il premio, sarebbe allora tenuto a sottoscrivere il contratto con la cassa malati della compagnia assicurativa scelta per questo scopo dal Cantone, previo concorso».
Insomma, riassume Mazzoleni, «se la nostra iniziativa andrà in porto, la persona che vorrà beneficiare del sussidio dovrà sottostare alla condizione posta dal Cantone e cioè l’affiliazione alla cassa malati con la quale l’ente pubblico ha concordato premio mensile, modello assicurativo, franchigia e via dicendo». Poi è chiaro, l’assicurato «potrà anche non accettare le condizioni del Cantone e quindi optare per un’altra cassa malati, ma a quel punto perderà il diritto al sussidio. Chiaramente sono calcoli che ciascun assicurato farà anche in base al proprio reddito».
Il sistema proposto dalla Lega, osserva ancora il vicecoordinatore, “assegnerebbe peraltro un certo margine di manovra al Cantone quando sceglierà la cassa malati per i sussidiati. L’ente pubblico porterebbe in dote a quella cassa potenzialmente un terzo degli assicurati in Ticino ai sensi della LAMal che attualmente è al beneficio dei sussidi cantonali, per i quali lo Stato eroga circa 300 milioni di franchi. Ebbene, questo ‘pacchetto’ consistente di assicurati sussidiati dovrebbe consentire al Cantone di ottenere condizioni contrattuali con quell’assicurazione vantaggiose, per quegli stessi assicurati e per il Cantone». Quest’ultimo «avrebbe quindi un controllo maggiore sui costi. E risparmierebbe a una voce di spesa comunque importante ai fini del risanamento delle finanze pubbliche».
Ma «i vantaggi» dell’iniziativa «non si fermano qui: daremo ulteriori dettagli durante la nostra festa per il 1° Agosto», indica Mazzoleni. Aggiungendo che «per quella data avremo terminato di approfondire alcuni aspetti». Il 1° Agosto verrebbe comunicata anche la data precisa del lancio dell’iniziativa popolare.
Senza scomporsi più di tanto, l'Udc mena come un fabbro: sia le iniziative cantonali, sia la proposta di cassa malati unica federale. In una nota firmata dal presidente Piero Marchesi e dal capogruppo Sergio Morisoli, infatti, i democentristi attaccano: “De Rosa continua a dare la colpa a Berna per responsabilità che sono sue e del Dss”. La realtà per l'Udc è un'altra: “I costi sanitari in Ticino sono fuori controllo, e la responsabilità ricade innanzitutto sul Cantone”. E quindi, chiedono Marchesi e Morisoli: “Perché non si razionalizza o riorganizza il numero di ospedali? Perché si continua a tollerare un tasso abnorme di specialisti e nuove aperture di centri medici, che spesso generano prestazioni inutili e costi evitabili? Perché si lascia degenerare l'uso del Pronto soccorso, sintomo di un sistema disorganizzato?”. De Rosa, per l'Udc, “invece che agire continua a gettare fumo negli occhi con iniziative che non hanno alcun margine concreto di approvazione a livello federale”.
Per quanto riguarda la cassa malati pubblica, l'Udc non va per il sottile: “È un'idea strampalata, che venga proposta da uno dei massimi responsabili della sanità cantonale è inquietante”.
Prio.swiss ha presentato un ricorso al Tribunale amministrativo federale (Taf) contro la pianificazione ospedaliera del Canton Svitto. Lo ha reso noto venerdì la stessa associazione mantello delle casse malati. Il ricorso – strumento ormai previsto dalla legge sull’assicurazione malattie (LAMal) e utilizzato ora per la prima volta da prio.swiss quale “ultima ratio” – mira a “evitare sovracapacità regionali poco efficienti, prevenire la carenza di personale curante e arginare l’aumento inutile dei costi della salute”.
In un’intervista alla ‘Neue Zürcher Zeitung’, la direttrice Saskia Schenker afferma: “[Con la recente decisione del governo cantonale] c’è il rischio di mantenere un eccesso d’offerta inutile e costoso, invece di coordinare ancora meglio i mandati di prestazione a livello intercantonale”. La basilese ritiene che in Svizzera vi siano troppi ospedali. “I confini cantonali non devono essere d’ostacolo a una pianificazione ospedaliera giudiziosa”, spiega.
Prio.swiss e la sua direttrice lamentano che il Consiglio di Stato svittese non abbia tenuto conto di “quasi tutte le obiezioni” da loro sollevate durante la procedura di consultazione. L’associazione, si legge in una nota, deplora in particolare che la pianificazione ospedaliera non sia stata coordinata in un’ottica intercantonale. Non solo: questa “prevede addirittura di istituire in seno al Cantone delle nuove strutture, molto costose, per prestazioni specializzate”.
Ad andarci di mezzo è anche la qualità. “Dall’intero canton Svitto – dice alla ‘Nzz’ Saskia Schenker – è possibile raggiungere molto rapidamente una città con un ospedale più grande per le cure specialistiche. E questo è anche nell’interesse dei pazienti. Se solo pochi ospedali con personale medico altamente specializzato ed esperto eseguono operazioni complesse, ciò migliora la qualità della medicina. Gli ospedali di Svitto [tre e relativamente piccoli, ndr], invece, spesso non raggiungono il numero di casi necessari per le operazioni”.