Presentata in Laguna la serie Netflix sul Mostro di Firenze, diretta da Stefano Sollima, che ai giornalisti assiepati all’hotel Excelsior ha detto...
“Abbiamo incontrato davvero tutti, tranne i parenti delle vittime. Ci sembrava irrispettoso, doloroso e probabilmente inutile far rivivere un dolore così immenso a qualcuno andando a chiedergli quarant’anni dopo cosa ha provato ad avere un figlio o un fratello ucciso dal Mostro di Firenze”. C’è molto dello spirito quasi illuminista de ‘Il Mostro’ – serie sui delitti del Mostro di Firenze in uscita su Netflix il 22 ottobre, presentata in anteprima a Venezia 82 – in questa risposta che il regista Stefano Sollima dà ai giornalisti assiepati all’hotel Excelsior, poche centinaia di passi dal red carpet.
Una prima stagione in quattro episodi, incentrata sulla parte più remota e forse meno nota dell’indagine sui “delitti delle coppiette”: la cosiddetta “pista sarda”. Nel 1982, poco dopo il terzo duplice omicidio in pochi mesi, quando la matrice seriale era ormai certa e la febbre mediatica ai massimi, gli inquirenti scoprirono che i colpi provenivano da una Beretta già usata in un remoto duplice delitto del 1968. Allora il colpevole era stato identificato in Stefano Mele, sardo, marito della vittima Barbara Locci, uccisa insieme all’amante Antonio Lo Bianco in quello che era stato liquidato come delitto passionale. Ma Mele era ancora in carcere, non poteva dunque essere l’autore dei nuovi delitti, e sosteneva di avere perso la pistola. Le sue dichiarazioni, sempre più clamorose e incoerenti, condussero a una serie di arresti in un demi-monde reticente e criminale di emigrati sardi in Toscana, puntualmente smentiti dal Mostro che tornava a uccidere ogni volta che un presunto colpevole veniva fermato.
Il “clan dei sardi” nella sterminata letteratura sul Mostro è quasi sempre stato ritratto attraverso la lente quasi coloniale del grottesco, come una loggia tribale di uomini primitivi, perversi e violenti, carnalmente congiunti all’‘ape regina’ Barbara Locci e spesso e volentieri tra di loro, creature impulsive a malapena dotate di una psicologia propria.
Questa serie ha il grande merito di tentare un’opera di de-mostrificazione (ecco) di queste persone, finalmente ritratte – anche grazie a un cast prodigioso di attori sardi semi-esordienti – come personaggi problematici ma complessi, carnefici ma anche vittime delle contraddizioni tra la Sardegna ancora rurale e familista che li aveva generati e l’assedio di nuovi irresistibili desideri nella Toscana del boom.
“Per noi è davvero importante sottolineare che tutto quello che mostriamo nella serie è vero”, spiega ancora Sollima, “c’è una ricostruzione filologica maniacale, non ci siamo presi nessuna licenza. Questo era il nostro modo di rendere omaggio alle vittime”. A garantire la verosimiglianza di ogni dettaglio sul set c’era in ogni momento l’esperto Francesco Cappelletti, che è presente anche al Lido e scherza sulla ‘qualifica’ di mostrologo: “mi interesso a questa vicenda da 16 anni, senza avere in sostanza risolto niente salvo forse escludere alcune piste. Anche Mario Spezi, il primo giornalista che su La Nazione seguì i delitti del Mostro, era soprannominato mostrologo. Oggi internet è piena di mostrologi, io sono uno dei tanti, ma spero uno dei più rigorosi e allergici a certi toni quasi da tifoseria che la rete in qualche modo incoraggia, ma che mi sembrano indegni di una vicenda così grave”.
‘Il Mostro’ non dà risposte, come dice Sollima cerca invece di “sollevare delle domande intelligenti”. È una serie che si nega agli appetiti più voraci ma anche meno nobili del true crime, dal voyeurismo morboso al patetico vittimista, e per restare coerente al proprio discorso tematico – quella del mostro di Firenze è una storia di uomini che uccidono le donne, quindi non parla di mostri ma della nostra società – ha il coraggio quasi inaudito di distaccarsi dai generi di cui Sollima è maestro, thriller e poliziesco, e lasciar emergere un eccellente melodramma sociale sull’emigrazione in chiave femminista. Il pubblico come la prenderà?
“Il Mostro metteva il corpo dell’uomo di spalle durante i suoi orrendi rituali, quasi non volesse non essere visto ad avere la donna come oggetto tutto per sé”, spiega Leonardo Fasoli, co-creatore della serie, “purtroppo ancora oggi spesso leggiamo sui giornali di cose terribili che non sono poi così diverse”.
Emanuela Scarpa
Dal 22 ottobre su Netflix