C’è qualcosa di scioccante nella reazione del nuovo Comune di Tresa, che ha scelto di rispondere con una richiesta di repressione penale a un dissenso, magari infondato ma in ogni caso legittimo. I cittadini di Sessa, la cui scuola verrà chiusa, hanno espresso con determinazione la loro delusione per la scelta fatta. Hanno visto venir meno una promessa implicita – forse anche esplicita – fatta in sede aggregativa: quella del mantenimento delle strutture scolastiche locali. Al di là della scelta delle Autorità comunali (magari legittime), invece di ascoltare, invece di dialogare, l’esecutivo ha scelto la via muscolare: denunce penali e inchieste amministrative. Una reazione sproporzionata, quasi autoritaria, un segnale evidente di un’impostazione politica che non tollera le voci contrarie.
Chi guida oggi il Comune viene da una destra forte che ha nel proprio Dna l’incapacità di concepire il dissenso. Una cultura che rifiuta il pluralismo, che confonde l’unità con l’obbedienza cieca, che reagisce con fastidio e repressione di fronte a ogni contestazione. Non è una novità, è una coerenza. Ma chi protesta pacificamente, chi abbassa una bandiera per dire “ci siamo anche noi”, non è un criminale. È un cittadino. E una democrazia matura deve saperlo ascoltare, non punire. Perché se ogni gesto di dissenso diventa reato, allora la democrazia è già stata spenta.