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Cassis e il valore dei fatti

(Keystone)

In tempi di grandi incertezze ci aspettiamo che i nostri leader siano capaci di comprendere il mondo (la verità e i suoi limiti) e di basarsi su valori morali fondamentali tra i quali la giustizia. Le dichiarazioni rilasciate il 3 giugno sulla situazione a Gaza dal consigliere federale Ignazio Cassis mostrano un’attitudine inadeguata in entrambi i campi. Ha affermato: “Gli spari… non sappiamo da chi provenivano e su chi sono andati”. No, si sa benissimo su chi le pallottole sono andate: sui 27 palestinesi morti. Inoltre, con espressioni come: “Ciascuno vuole mettere in avanti la propria storia”; “guerra dell’informazione” e “non dobbiamo cadere troppo facilmente nel tentativo di credere a ciò che più ci sembra plausibile”, Cassis confonde il piano dei fatti sul quale non può esserci disaccordo, con i più relativi piani dell’interpretazione dei fatti e dei valori (utile distinguo di Hannah Arendt). Ci incita a credere che la verità non si può conoscere e si comporta di conseguenza, passivamente, come se non avesse altri mezzi a disposizione che la stampa che tutti leggono, una postura non all’altezza dell’ufficio che occupa.

Con i suoi propositi e il suo comportamento il ministro “disprezza” la verità: ognuno è legittimato a raccontare la propria storia e la storia dell’uno ha lo stesso peso della storia dell’altro, in una deriva di relativizzazione del valore dei fatti che è un cancro per le democrazie; valore dei fatti che, agli estremi opposti, Dick Marty ha lavorato una vita a costruire e Trump – con il suo teorico Bannon – una vita a distruggere.

La giustizia, che non è solo la solidarietà nei confronti di chi soffre, richiede di posizionarsi in modo responsabile e responsabilizzante sui fatti, e verso chi l’ingiustizia la commette e chi la subisce (i dubbi sulle violazioni del Diritto internazionale che il governo di Israele sta commettendo non sono più leciti). Condannare un’ingiustizia non è futile: da un lato mostra alle vittime che si è dalla loro parte proprio in quanto vittime di ingiustizia, e che non si sta volgendo altrove lo sguardo (Primo Levi ricordava specificamente il peso dell’indifferenza). Dall’altro lato, e soprattutto, predispone all’azione: a fare tutto quello che è in tuo potere. Come la Svizzera ha giustamente fatto in solidarietà all’Ucraina aggredita, con aiuti, sanzioni – abbiamo prontamente aderito a quelle della Comunità europea – e ospitalità.

Non è un caso che l’On. Cassis non riesca a parlare di tutto questo, anche quando chi lo interpella gliene offre l’occasione (“… mettere in discussione i rapporti verso Israele”). Non è un caso nemmeno che la sua equidistanza (posizione senza responsabilità e senza giudizio sui fatti) appaia come rassegnata, corroborata da un linguaggio che traduce accettazione (“la dura realtà”, “un conflitto di secoli”) e inazione.

L’adesione a dei valori fondamentali è un bene prezioso per noi tutti, ma è ancora più importante in chi ci rappresenta: fa sentire alla popolazione da che parte si trovano i nostri leader, contribuendo a creare un senso di appartenenza e coesione con le istituzioni che mobilitano energie civiche, utili non solo nel caso del Medio Oriente, ma anche nei tanti altri cantieri urgenti qui da noi. All’opposto, il non rispetto di questi valori genera scollamento, sfiducia e inerzia nei cittadini. L’attitudine dell’On. Cassis su Gaza sta facendo perdere un’occasione importante alla Svizzera di fare del bene, e di orientare il mondo in una direzione diversa dalle derive immorali che lo stanno travolgendo. Un’occasione che molti cittadini, giustamente fieri di custodire le Convenzioni del diritto umanitario, vorrebbero il loro governo cogliesse.