laR+ I dibattiti

Palestina, incomunicabilità e voci dissidenti

(Keystone)

L’incomunicabilità fra Israele e il resto del mondo ha assunto dimensioni mai viste prima di quello sciagurato 7 ottobre 2023, quando palestinesi disperati e fanatici hanno massacrato 1’200 ebrei e ne hanno sequestrate alcune centinaia scatenando la violenza cieca e illimitata di Israele. Due simboli dell’incomunicabilità: l’ostilità sprezzante di Israele verso le Nazioni Unite e il loro Segretario generale; l’assenza di un rappresentante del governo israeliano al funerale di Papa Francesco, reo di aver manifestato vicinanza alle vittime di Gaza.

L’incomunicabilità è profonda anche fra israeliani e fra ebrei della diaspora: da una parte i difensori a oltranza di Netanyahu, ricercato dalla giustizia penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, dall’altra i suoi critici. Nella nostra piccola realtà ticinese l’incomprensione è palese fra i molti cittadini inorriditi dalla devastante violenza contro i palestinesi di Gaza e anche della Cisgiordania e i pochi interlocutori ebrei locali incapaci di capire l’atteggiamento critico dei primi. Provare per credere, o dare un’occhiata alle discussioni che si svolgono sui social. Eppure anche i nostri interlocutori ebrei possono osservare come noi l’apocalisse di Gaza. Ricapitoliamo.

A un giorno di terrore (7 ottobre) di estremisti palestinesi sono seguiti oltre 600 giorni di violenza inaudita dell’esercito israeliano, che prosegue tutt’ora: bombardamenti che hanno già distrutto oltre l’80% delle abitazioni, scuole, ospedali, luoghi di culto, infrastrutture energetiche e idriche e che puntano al 100%; uccisione diretta di 70'000 persone, in maggioranza donne e bambini, e un numero incalcolabile di feriti e mutilati; impedimento di curare i feriti e ammalati perché gli ospedali vengono distrutti, gli operatori sanitari uccisi, la fornitura dell’occorrente per le cure impedita; privazione di cibo e acqua e morte per fame; organizzazione perversa della poca distribuzione di aiuti in soli quattro punti per oltre due milioni di abitanti e decine di persone in cerca di alimenti ammazzate ogni giorno; ripetuti ordini di evacuazione con l’obiettivo di concentrare tutta la popolazione in uno o più “campi di concentramento” (il termine è dell’ex primo ministro israeliano Olmert) dove una volta entrati non si esce più, a meno di accettare l’espulsione definitiva da Gaza; divieto di accedere all’acqua del mare, che significa non potersi lavare e rinfrescare con conseguenti decessi per il caldo soffocante e un grande pericolo di infezioni di massa che andranno a ingrossare l’ecatombe di civili (genocidio). Tutto ciò a Gaza, mentre in Cisgiordania, senza la scusa della difesa da Hamas, si moltiplica il terrore contro le persone e le loro proprietà mirato a sgomberare i palestinesi per far posto ai coloni israeliani (pulizia etnica).

Se proponete ai vostri interlocutori, ebrei o amici di Israele, di riflettere su queste politiche umanamente inaccettabili, vi accorgerete di un vero e proprio diniego di realtà. Nel migliore dei casi vi dicono che si tratta di “diritto alla difesa” contro la barbarie. Oppure non entrano in materia ma vi ripetono all’infinito il racconto delle brutalità di un solo giorno (7 ottobre) o vi parlano dell’Iran antidemocratico, liberticida, ostile alle donne. Nel peggiore dei casi, vi accusano di complicità con il terrorismo e di antisemitismo. Oppure vi dicono che la Palestina e i palestinesi non esistono, che quella terra è solo degli ebrei, per ragioni religiose e storiche. È inutile anche ricordare loro le posizioni radicalmente critiche di autorevoli storici, scrittori e attivisti ebrei, israeliani e non: Ilan Pappé, Shlomo Sand, Anna Foa, Gad Lerner, Moni Ovadia… Vi dicono che il loro punto di vista non è oggettivo ma ideologico.

Ora però, certo tardivamente, cominciano a emergere posizioni finalmente critiche nella diaspora ebraica di vari Paesi, Svizzera compresa. In aprile ha fatto molto discutere una lettera sul Ft firmata da 36 esponenti di comunità ebraiche della Gran Bretagna che, invocando i loro “valori ebraici”, denunciavano la rottura del cessate il fuoco decisa da un governo israeliano “estremista” che conduce una guerra brutale, incoraggia la violenza contro i palestinesi in Cisgiordania, soffoca ogni speranza di riconciliazione, prende di mira anche la democrazia israeliana e “strappa via l’anima di Israele”. Nella discussione è poi intervenuta (il 18 aprile su ‘Jewish News’) un’associazione di israeliani che vivono in Gran Bretagna insistendo sul fatto che il “governo di estrema destra” di Netanyahu ignora la volontà del 70% degli israeliani favorevole a un cessate il fuoco permanente e a un accordo globale per il rilascio degli ostaggi, affermando che “questa guerra non sta portando sicurezza, ma devastazione”.

In Svizzera, lo scorso 6 giugno circa 500 membri del ‘Forum Juif Suisse - Gesher’ hanno sottoscritto un “appello per interrompere la violenza e la fame a Gaza”. Scrivono che le distruzioni e il blocco degli aiuti umanitari non solo violano il diritto internazionale, ma sono “fondamentalmente contrari ai nostri valori ebraici e umanitari”. Denunciano il ministro delle finanze Smotrich che “dichiara che la vittoria israeliana significa per lui la distruzione totale di Gaza e l’espulsione dei suoi abitanti”. Si appellano al Consiglio federale affinché si faccia sentire contro le violenze e le espulsioni. Infine, anche negli Stati Uniti cresce l’insofferenza di parte degli ebrei verso le politiche israeliane. Il quotidiano romando Le Temps (16 luglio) prende come indicatore emblematico il fatto che molti degli ebrei di New York (sono 1,4 milioni) hanno votato per Zohran Mamdani alle primarie democratiche per la scelta del candidato sindaco: un giovane della sinistra democratica, di fede mussulmana, apertamente impegnato per la causa palestinese.

Ci auguriamo che la piccola comunità ebraica del Ticino e gli amici d’Israele siano stimolati a far sentire anche la loro voce contro una politica che rappresenta, oltre a una sofferenza immane per i palestinesi, “Il suicidio di Israele” (titolo dell’ultimo libro di Anna Foa). Una politica che fa di Israele lo Stato forse più odiato al mondo e che favorisce la sciagura di un nuovo antisemitismo che identificherà di nuovo negli ebrei in quanto tali una minaccia per l’umanità.