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Da vom Rath a Kirk, il manuale del ‘pretesto’

(Ti-Press)

Ancora una volta, mi si permetta di ripescare un esempio tratto dal nazismo, non per compiacimento intellettuale, ma perché rappresenta un ulteriore parallelo inevitabile allorquando si desidera decifrare con lucidità quanto sta oggi capitando negli Stati Uniti. Nel novembre 1938 l’attentato a Parigi contro il diplomatico tedesco Ernst vom Rath divenne l’innesco perfetto per ciò che la leadership nazista aveva già in mente: la Kristallnacht. Non fu un moto “spontaneo”. Fu un pogrom coordinato dall’alto: centinaia di sinagoghe incendiate, migliaia di negozi devastati, almeno 91 morti e circa 30’000 ebrei arrestati e deportati nei campi. Il regime presentò il gesto isolato di Herschel Grynszpan, l’autore dell’attentato, come “complotto”, trasformando un crimine individuale in licenza per la repressione di massa. È così che funziona il pretesto nelle dittature.

Oggi, negli Stati Uniti, l’omicidio di Charlie Kirk è un fatto reale e grave. Le autorità hanno arrestato il ventiduenne Tyler Robinson; secondo gli investigatori, tracce di Dna collegano il sospetto all’arma e ad altri reperti. Sulle motivazioni, gli accertamenti sono ancora in corso. Questo, ad oggi, è il perimetro dei fatti.

Il punto è come il potere politico sta usando questi fatti. Nelle ore e nei giorni successivi, la Casa Bianca ha parlato – in modo ampio e generico – di “reti” di gruppi liberal da qualificare come terrorismo interno, evocando un giro di vite federale su Ong e media progressisti. Il vicepresidente J.D. Vance ha rincarato la dose con accanto a sé l’ideologo Stephen Miller, il quale ha promesso l’uso di Doj e Homeland Security per “smantellare” presunte organizzazioni “di sinistra” che fomenterebbero violenza. Finora, nessuna prova pubblica di un coordinamento più ampio è stata fornita; l’indagine sull’omicidio resta incentrata su un singolo sospetto. Il segnale politico però è chiarissimo: sfruttare un delitto individuale per costruire un quadro narrativo che giustifichi misure eccezionali contro gli avversari. E questo da parte di coloro che, di questa violenza, retorica e fisica, sono gli artefici, insultando, denigrando, arrestando chi non si trova in linea con la loro linea di pensiero. Da coloro che hanno tentato un colpo di Stato, per poi assolvere chi ha voluto rovesciare le istituzioni.

Il parallelo con vom Rath non consiste nell’equiparare due regimi o due epoche. Consiste nel metodo: prendere un fatto di sangue, gonfiarlo a “cospirazione”, e usarlo per allargare gli strumenti repressivi. Nel 1938 il pretesto aprì la via a violenze programmate e alla detenzione di massa. Nel 2025, il rischio (già enunciato a microfoni accesi) è di etichettare come terrorismo aree indistinte del dissenso, comprimendo libertà di associazione, espressione e stampa. La democrazia non cade in un giorno: deriva quando si normalizza l’idea che a un omicidio rispondi non con prove e processo, ma con categorie politiche e poteri straordinari contro interi segmenti sociali. Ecco perché il paragone regge: il meccanismo strumentale è lo stesso. Dovrebbe stare alle istituzioni – tribunali, Congresso, stampa – interrompere la china, separando giustizia penale da utilità politica. Ma purtroppo, sembra che negli Stati Uniti, oggi, già due di questi contropoteri siano fuori uso.