Non passa settimana senza leggere dell’ennesimo ragazzo scomparso. Da genitore, la prima reazione è incredulità: ancora? Poi arriva un’ondata di empatia per chi vive l’angoscia del “non sapere”: starà bene? Tornerà? Quando la scomparsa si risolve, il sollievo è immenso. Eppure, troppo spesso finisce lì. “È stata solo una ragazzata”, si dice. No. Non è una ragazzata. È un grido. Un segnale che dovrebbe svegliarci.
Quando un figlio pensa che allontanarsi per giorni sia accettabile, è perché noi adulti abbiamo smesso di vedere i segnali. Abbiamo perso la forza dei “no”, la fermezza dell’ascolto vero, quella presenza che non è solo fisica. Viviamo in una società che li costringe a correre, competere, dimostrare, senza mai sentirsi abbastanza. Una società dove l’“io” ha sostituito il “noi”, lasciando i ragazzi senza radici e punti di riferimento.
Noi genitori dobbiamo avere il coraggio di essere “vecchio stampo”: non rigidi, ma vigili. Non severi, ma presenti. Non perfetti, ma sinceramente coinvolti. Perché i nostri figli hanno bisogno di qualcuno che li veda davvero, che li ascolti senza giudicarli, che li accompagni anche nel silenzio. Hanno perso fiducia nel futuro. E forse anche in noi.
Insegniamo loro che ogni scelta, anche quella sbagliata, è un’occasione per crescere. Che sbagliare non è fallire, ma imparare. Abbiamo bisogno di più affetto, empatia e meno paura. Paura di sbagliare, di mostrare fragilità, di entrare nei loro silenzi per non riconoscerci, almeno in parte, responsabili del loro disagio. Paura di chiedere aiuto a chi queste dinamiche le conosce davvero, per timore di apparire fragili o giudicati. Ma i segnali ignorati oggi diventano ferite domani.
Troppo spesso la scuola è vista come un collegio di buone maniere, invece che come un luogo che getta le basi per il futuro. Non sono i docenti a dover fare il lavoro dei genitori. Ma non possiamo nemmeno trattarli come ciechi davanti all’evoluzione della società e allo stress dei nostri figli. La scuola dovrà diventare anche uno spazio sicuro, con persone preparate, capaci di interagire con una generazione che vive in un mondo che cambia troppo in fretta, senza strumenti per capirlo.
Hanno tutto, tranne un senso chiaro di chi sono e dove stanno andando. Tante cose materiali, poche risorse emotive. Crescono in una cultura che dice “fai ciò che vuoi”, ma non insegna a costruire il proprio valore senza l’approvazione degli altri. Mancano figure adulte stabili, empatiche. Genitori stanchi, soli, pieni d’amore ma poveri di tempo e strumenti. I punti di riferimento si sono sbriciolati. Famiglia, scuola, comunità: tutto è più debole. E quando un ragazzo non si sente visto, fa di tutto per farsi notare, anche nel modo più doloroso.
E noi genitori? Chi aiuta noi? Non ho una risposta certa. Ma so che parlarne, confrontarsi, è un primo passo. Per non sentirci soli. Per non lasciare che la paura ci faccia arrendere. Per continuare a lottare, con amore, quando tutto sembra sfuggirci di mano. Noi e loro, insieme, possiamo fare la differenza. Non servono eroi. Serve esserci. Con amore. Con pazienza. Con coraggio. Come una squadra, sempre.