Dalle Isole Marchesi, Louis Margot ci racconta della sua traversata del Pacifico, quarta tappa del giro del mondo con la sola forza muscolare
Dopo oltre quattro mesi in ammollo, mettere finalmente piede a terra gli ha fatto quasi venire... il mal di terraferma. La terra in questione è quella di Hiva Oa, una delle isole che costituiscono l’arcipelago delle Isole Marchesi, circa a metà strada tra l’America Latina e l’Australia. Dove Louis Margot è arrivato nel pomeriggio di sabato, la notte su domenica in Svizzera. Certo, l’arte di camminare, bene o male, non la si scorda mai. Tuttavia, i primi passi sulla terra della Polinesia francese non sono stati facili per lui... «No, affatto. Anzi, a dirla tutta, per un paio di giorni ho avuto problemi di equilibrio: mi sembrava che il suolo, sotto i miei piedi, fosse in continuo movimento... E poi, è stato anche uno shock a livello di emozioni: quattro mesi in barca, senza incontrare anima viva e senza particolari stimoli lasciano il segno. Così, quando al mio arrivo ho trovato ad accogliermi una folla di circa duecento persone (praticamente un buon decimo degli abitanti dell’isola); sono rimasto quasi frastornato. La gente del posto mi ha fatto una festa in grande stile: c’erano canti, balli, i tamtam che suonavano, macchine che clacsonavano. Di colpo il mio cervello si è trovato sovrastimolato, al punto che per due notti non ho praticamente chiuso occhio. Ora va comunque un po’ meglio», racconta il 33enne vodese, che ritroviamo con il volto sorridente dietro al monitor di un computer, in una videochiamata di buon mattino nella Polinesia francese. Al collo ha una ghirlanda fiorita: «Tutta composta da fiori veri, e realizzata a mano. Ne avrò ricevute una decina in questi giorni, ciascuna con un significato specifico. Pure quella che solitamente viene destinata ai guerrieri. Ma mi hanno omaggiato anche di braccialetti e persino del modellino in legno, con tanto di vela, dell’imbarcazione con cui i primi colonizzatori di queste isole erano sbarcati a suo tempo». E pure di una roccia: «Queste isole sono letteralmente fuori dal mondo, al punto che, dicono i locali, quando il mondo era sconquassato dalla Seconda Guerra mondiale, qui si era praticamente all’oscuro di tutto. Tutt’attorno c’è un’immensa distesa blu, che si estende per centinaia e centinaia di chilometri. A loro memoria, sono la terza persona da sempre a remare fino alle Isole Marchesi, non facili da raggiungere in barca perché correnti e venti ti possono mandare fuori rotta. Per sottolineare quello che per loro rimane pur sempre un evento, hanno deciso di ‘donarmi’ una roccia di all’incirca due tonnellate, sulla quale verrà scolpito il mio nome. Così è come se una parte di me rimanesse sempre qui...».
Qual è stata la parte più delicata di questo viaggio che ti ha portato fino a Hiva Oa? «All’inizio c’erano correnti e venti che rischiavano di mandarmi fuori rotta: ho dovuto lottare con tutte le mie forze per tenere la linea che mi ero prefissato. Non avendo praticamente mai incrociato altre imbarcazioni, poi, c’era l’incognita degli imprevisti: se mi fosse capitato un incidente di navigazione, con tutta probabilità non avrei potuto ricevere per tempo aiuto. Ma soprattutto, la prima vera grossa sfida è stata quella di riabituarmi alla solitudine».
Il viaggio di Louis Margot intorno al mondo con la sola forza muscolare, ad ogni buon conto, non si ferma però qui: da attraversare c’è infatti ancora la seconda metà del Pacifico, per poi completare l’opera con la traversata dell’Asia e di parte dell’Europa, fino a Morges, in sella alla bici. «Ora però mi prenderò il tempo necessario per ricaricare fisicamente e psicologicamente, e parallelamente organizzare tutto il resto del viaggio. Quanto mi fermerò? Non voglio fissarmi una data precisa: la versione ufficiale è che resterò qui finché non sarò pronto. E solo allora leverò l’ancora: sarà dura, soprattutto psicologicamente, tornare in mare e riprendere a remare per diversi altri mesi senza incontrare anima viva, come lo è però anche stato il fermarmi quattro mesi dopo essere salpato da Lima. Sto ancora valutando la rotta che seguirò: molto probabilmente tirerò dritto fino alle Isole Molucche, arcipelago a nordest dell’Indonesia».
Ti senti già sulla via del ritorno verso casa? «Ora come ora mi sento un po’ come in equilibrio su una bilancia, dove su un piatto c’è la parte di viaggio che ho percorso finora e sull’altro quella che ancora mi resta da coprire. Ho voglia di tornare: a volte, soprattutto in oceano aperto, la malinconia non ti dà pace, ma ho anche paura di sapere cosa farò dopo, una volta che avrò messo il punto finale a quest’avventura che ha occupato ogni mio singolo giorno della mia quotidianità da settembre 2023. Di una cosa sono però già certo: questo giro del mondo avrà sicuramente un influsso su quella che sarà la mia vita dopo. E allo stesso tempo sono pure già certo che non tornerò a lavorare rinchiuso in un ufficio. Tanti giorni in acqua, solo, ti permettono di conoscere meglio te stesso, di ascoltarti, e di scoprire ciò che realmente vuoi essere. La solitudine l’avevo già sperimentata nella traversata dell’Atlantico, ma è stato qui, attraversando il Pacifico, che ho cominciato ad apprezzarla per davvero: prima ero un po’ terrorizzato da questa sensazione. Non parlando con anima viva per mesi e mesi, quando mi sono ritrovato qui a Hiva Oa, conversando con la gente del posto (appoggiandomi su un interprete, visto che non mastico questa lingua per me ostica), con mia sorpresa pure la mia voce era diversa. O, semplicemente, così mi è sembrato. Durante questa prima parte di traversata ho anche scelto di isolarmi quasi completamente dal resto del mondo: niente social, niente notizie o altro. Solo sporadiche puntate in rete. Quando sei in mezzo al nulla, in fondo, sapere che è successa questa o quella cosa cambia relativamente: lì quello che conta e che fa stato è il mondo interiore che ti crei. Da qui alla fine di colpi di remo prima e di pedale poi ne dovrò ancora dare parecchi, cosa che mi darà la possibilità di avvicinarmi gradualmente al ‘dopo’. Non fatico però a credere che all’inizio avrò bisogno di un po’ di tempo per... ri-civilizzarmi. Dovessi tornare in Svizzera in questo momento, con ogni probabilità avrei una crisi d’angoscia. Mi sono però portato avanti e ho guardato la mappa: prima di terminare il viaggio, in caso di necessità... potrei ancora fare un miniritiro sull’Île de l’Harpe, a Rolle», conclude Louis Margot con una risata di gusto.