laR+ Locarnese

Quando Livio Vacchini disse: ‘Basta con i film in Piazza Grande’

Nel 2003 una delegazione di architetti capeggiata dal progettista dell'iconico schermo propose al Municipio di spostare il cuore del Festival sul lago

Visioni
30 settembre 2025
|

Spostare il Film Festival da Piazza Grande per “legarlo definitivamente alla città di Locarno e impedire che la manifestazione muoia o che si sposti in un’altra città”. Ergo, il grande cinema all’aperto va situato altrove, in un’altra Piazza Grande, “uno spazio alternativo che appartenga alla città, ma che al contempo ne superi decisamente i confini”. Dove? Sul lago.

Sembra fantascienza, ma è quanto, 22 anni fa, affermava l’ideatore stesso della Piazza Grande cinematografica, l’architetto Livio Vacchini. La proposta di rivoluzionare la logistica e rivedere addirittura l’ubicazione del cuore pulsante del Festival era stata formulata in occasione di un incontro con il Municipio, a Palazzo Marcacci, il 26 maggio 2003 e si basava su un documento da lui stesso redatto il mese precedente. All’incontro erano presenti, con Vacchini, i colleghi Luigi Snozzi e Mauro Vanetti e una giovanissima Eloisa Vacchini, figlia di Livio e anch’essa architetto. Sindaco di allora era Marco Balerna, che in Municipio, dalle elezioni comunali di 3 anni prima, lavorava con la futura sindaca Carla Speziali, Tiziana Zaninelli, Fabio Abate, Renza De Dea, Bruno Cereghetti e Marco Pellegrini (esponente Ppd che 4 lustri dopo è tornato ed è oggi in carica per il Centro).

È proprio Pellegrini che ricorda lo storico incontro a ‘laRegione’. Lo fa, non a caso, nella calma piatta (dopo la tempesta) di un’attesa generalizzata sul futuro dello schermo progettato nel ’71 dallo stesso Vacchini, ma pensionato dall’attuale dirigenza del Locarno Film Festival con due motivazioni. Una è economica (una struttura in affitto utilizzabile anche per i concerti costa meno) e l’altra legata alle tempistiche di montaggio (con la struttura in condivisione con “Moon&Stars” sarebbe più rapido – anche se in realtà quest’anno è stato più lento – e consentirebbe di arretrare le date del Festival subito dopo la fine dei concerti). È cronaca di quest’estate la petizione firmata da 9’402 persone che chiedono il ripristino, già per l’edizione 2026, dell’iconica struttura. La consegna delle firme, avvenuta il 12 settembre nello studio Vacchini (oggi condotto da Eloisa e da Simone Turkewitsch) non ha permesso di capire in base a quali consulenze e/o confronti Direzione e Cda della rassegna possano decidere se fare dietrofront o meno.

Una storia fatta di cambiamenti (ragionati)

Ritrovando i sentimenti di sorpresa con cui il Municipio di 22 anni fa aveva ricevuto la prestigiosa delegazione di architetti a Palazzo Marcacci, Marco Pellegrini riflette sulla «mutabilità delle situazioni, sull’esigenza di riflettere continuamente in merito ai cambiamenti. Lo spirito stesso del Festival del film è sempre stato quello di mettersi costantemente in discussione; se necessario, voltando pagina. Con questo non voglio dire che la scelta di rinunciare alla struttura del Vacchini sia giusta; dico solo che non è una novità che a Locarno, attorno alla rassegna, si facciano ragionamenti strutturali e logistici anche importanti. È ciò che avvenne allora, alla mia presenza, anche se poi il pensiero rivoluzionario del Vacchini non aveva sortito effetti concreti. Ma va sottolineato che il grande architetto, nel 2003, giunse ad auspicare un cambiamento epocale come quello di liberare Piazza Grande da quelli che lui definiva gli eccessivi ingombri del Festival. Secondo lui era l’unica strada per salvare il Festival dagli effetti del suo stesso successo».

Il documento

Le valutazioni del team di architetti sono contenute in un dossier che proponeva, ed era intitolato, “Un’idea per la Città”. La premessa era l’esigenza di tenersi stretto quel patrimonio che era (ed è) “la manifestazione culturale svizzera di maggiore risonanza”; patrimonio che “i locarnesi hanno il dovere di promuovere”, considerandolo “come una cosa viva che evolve e cresce grazie alle sue capacità di modificarsi, riorientando costantemente il suo divenire”. Gli architetti convenuti a Palazzo Marcacci non parlavano a caso: facevano riferimento al “successo e le difficoltà incontrate dagli organizzatori della manifestazione in questi ultimi anni” che “chiamano a un cambiamento importante, decisivo”.

Festival, notavano Vacchini e colleghi, “significa oggi proiezione serale in Piazza Grande”, un simbolo che negli anni precedenti si era rivelato vincente anche grazie “al fascino del luogo, l’architettura e la competenza degli organizzatori”. Nel momento in cui “il Festival non è più dei locarnesi, bensì di tutti”, il problema ravvisato dall’ideatore stesso dello schermo in Piazza Grande era “legare la rassegna definitivamente alla città di Locarno e impedire che la manifestazione muoia o si sposti in un’altra città. I problemi del Festival devono essere allo stesso tempo i problemi della città, quelli che ne determinano l’assetto urbanistico della parte più preziosa del suo territorio”.

Poi venivano ricordati “gli apporti più concreti del Festival a Locarno e alla regione. Si parlava dell’indotto economico, dell’immagine nel mondo e del fatto che “la nostra realtà cosa chiusa e regionale di colpo, e come per magia, durante il mese di agosto si trasforma in un polo di attrazione internazionale. Gli stimoli lasciano il segno ma non basta. Bisogna che anche lo spazio pubblico della città ne venga segnato in modo non effimero”.

Nella valutazione tecnica non veniva taciuto che i problemi cui già allora era confrontato il Festival erano “soprattutto logistici. Il numero di spettatori aumenta di anno in anno e le infrastrutture fanno fatica a rispondere alla crescente affluenza di pubblico”. Rimedi erano stati trovati con il progressivo utilizzo di sale recuperate in città: “Trasformando e riattando si sono fatti miracoli. Di giorno il pubblico affronta i disagi con l’animo allegro di chi aspetta lo spettacolo serale, la magia di Piazza Grande e del cinema all’aperto in un luogo tanto particolare”. Tuttavia, era la cesura posta dagli architetti, “persino Piazza Grande ‘scoppia’. Gli spettatori si accalcano, vedono male, non trovano posto. Quando piove è la tragedia. Le proposte alternative si sprecano, ma sono destinate a sfumare perché, a nostro avviso, per affrontare questo problema è necessaria maggiore decisione e radicalità”.

Piazza Grande era chiamata ad assolvere il suo ruolo di centro della vita cittadina” ma “durante due mesi interi si ritrova a essere chiusa e impraticabile. Da spazio privilegiato e particolare si trasforma in deposito: vi si trovano accatastate le sedie per il Festival, il materiale di montaggio e smontaggio del palco, dell’entrata, dello schermo e della cabina di proiezione”. Una situazione, per Vacchini padre e figlia, Snozzi e Vanetti, ormai insostenibile. Da lì nasceva lo scopo della visita al Municipio: presentare una visione che avrebbe, letteralmente, fatto saltare sulla sedia sindaco e colleghi.

‘Lo spazio ha raggiunto i suoi limiti’

Gli architetti consideravano che Piazza Grande non era più in grado di gestire da sola il Festival “perché questo spazio ha raggiunto i suoi limiti”. Questo per arrivare a dire che “lo spazio di Piazza Grande non è più adatto ad accogliere le proiezioni serali della manifestazione”. Era, ovviamente, “una decisione difficile da prendere”, ma, “proprio per la sua radicalità, è l’unica decisione che apre la via a nuove soluzioni”. «Il Festival – ci piace immaginare abbia esclamato Livio Vacchini rivolgendosi al Municipio di Locarno – ha bisogno di una nuova Piazza Grande in grado di affrontare la situazione: uno spazio per le proiezioni all’aperto che presenti la possibilità di una copertura mobile, servizi adatti alla sempre maggiore affluenza di pubblico e una capacità massima di 10mila persone!». Era quindi necessario, si legge nel documento del 2003, “pensare a creare uno spazio alternativo che appartenga alla città ma che al contempo ne superi decisamente i confini”.

Quello spazio doveva essere il lago.

‘Un prolungamento del centro città sulla superficie del Lago Maggiore’

“La nuova struttura dovrà essere posizionata in modo tale che appaia quale prolungamento del centro città sulla superficie del Lago Maggiore”. Uno schizzo allegato al documento illustrava “un enorme elemento galleggiante concepito come il prolungamento di Largo Zorzi verso il lago e che contiene lo spazio di proiezione, il foyer, i ristoranti e i servizi”. Tanto era il trasporto presentando questa visione, che ne venivano forniti anche i dettagli: “Lo spazio di proiezione potrebbe avere una leggera pendenza ad anfiteatro; esser attorniato da pareti fisse; avere sullo sfondo uno schermo delle stesse dimensioni di quello attuale ed essere munito di una copertura mobile, in modo che la proiezione abbia luogo anche in caso di pioggia”. Insomma, l’idea era “una nuova piazza galleggiante” grande come i Giardini Rusca “i quali, convenientemente ridisegnati, apparirebbero quale spazio di relazione ideale tra Piazza Grande e la nuova infrastruttura”.

Gli architetti, con Livio Vacchini in testa, proseguivano immaginando che questa nuova piazza potesse contenere “anche un nuovo debarcadero, visto che la nuova situazione urbanistica si presta particolarmente bene ad accogliere un nuovo spazio d’attracco”. La conclusione era che “Locarno è la città che in passato ha generato il Festival. Ora, di rimessa, avverrebbe il contrario: il Festival farebbe di Locarno l’unica e la bellissima Città del Cinema che gli altri ci invidiano”.

Vanetti: ‘Cambiare per riaffermarsi’

Mauro Vanetti, per anni collaboratore di Livio Vacchini, quel giorno era presente. Oggi ricorda il ragionamento architettonico e pianificatorio e la conseguente “spedizione” di allora a Palazzo Marcacci come «un tentativo di indurre il Municipio di allora a riflettere su possibili alternative a Piazza Grande, che consentissero al Festival non solo di crescere ancora, come nei desideri di Marco Solari in primis, ma di riaffermarsi in altro modo come Città del Cinema, puntando su un altro simbolo forte che non fosse la Piazza, che appariva già oltre al limite delle sue capacità. Pur comprendendo le difficoltà di un cambiamento di quella portata, anche a livello economico, individuammo nel lago l’ubicazione alternativa ideale».

Per mille motivi non funzionò, ma, conclude Vanetti, «fu importante parlarne e ragionarci», come molte volte già accaduto in precedenza e poi – lo ha ben descritto Gabriele Neri nella sua storia dell’architettura festivaliera – anche in futuro.