Le radici del problema di siti online come Phica o Mia Moglie sono che il corpo femminile è ancora questione di uomini e le donne sono messe a tacere
Bellinzona, annus domini 2025. Alle porte del 163esimo regno del Rabadan arrivano “le solite femministe con la fissa del patriarcato” a tentar di rovinare la festa. Quella del Carnevale che, per antonomasia, ribalta gerarchie e convenzioni, ma rimane restio – hanno fatto notare alcune giovani politiche – a cambiare un regolamento che ancora prevede tra i compiti del nuovo re quello di designare la regina. “Una gerarchia che stabilisce che le donne non scelgono, ma vengono scelte”, scrivono le consigliere comunali Lisa Boscolo e Martina Minoletti, definendola un’impostazione “arcaica”. Apriti cielo, lesa maestà! Se la Società del Rabadan, pur non ravvedendosi, ha mostrato un’apertura per discutere del tema in futuro, il coro delle voci in maschera della piazza digitale – e non solo – è stato ben più intransigente rispetto alle rimostranze contro una concezione della donna come estensione o complemento del potere maschile che tarda a tramontare anche in un contesto goliardico quale quello del Carnevale.
In questi casi i commenti svalutanti sono divenuti un riflesso pavloviano, dove spesso i migliori tra i peggiori si risolvono in: "Ma con tutti i veri problemi che ci sono". E dove spesso il rifiuto a riconoscere la validità della critica passa da un tentativo di relegarla a una prospettiva ideologica e di nicchia – a questo è associato il femminismo – a marcare la distanza da quella maschile ritenuta oggettiva e universale. “La rappresentazione del mondo come tale è opera dell’uomo – ha ben sintetizzato Simone de Beauvoir –: egli lo descrive dal suo punto di vista, che confonde con la verità assoluta". Ogni scostamento da essa è tacciato come un'anomalia fastidiosa da mettere a tacere, anche quando riflette la visione, le aspirazioni o la sofferenza della maggior parte del 50% di popolazione che abita il pianeta: quella femminile.
Si tratta di un meccanismo dalle radici profonde. Le stesse che ritroviamo nei recenti casi di cronaca legati a forum o gruppi online come ‘Phica’ e ‘Mia Moglie’ basati sullo scambio di foto rubate di donne accompagnato da commenti denigranti e violenti. Le immagini e il linguaggio che sezionano in pezzi di carne i corpi femminili riducendoli a sineddoche – cos’è lo sdoganato aggettivo “figa” se non una parte per descrivere il tutto? – sono il veicolo per soddisfare i desideri e le fantasie di branchi di uomini che vedono nell'altra metà del mondo una merce di consumo, un trofeo.
La comune origine è il presunto diritto al corpo femminile. Un diritto che si applica alle sconosciute, come alle mogli, compagne e alle figure pubbliche. Queste ultime sono i principali bersagli dei commenti d’odio a causa del loro ardire di occupare posizioni in vista uscendo dal ruolo addomesticato. Insomma, il corpo femminile è ancora questione di uomini e ogniqualvolta lo si rilevi c'è qualcuno che sentenzia: “Basta con questa guerra tra i sessi”. Perché quando sono le donne a pronunciarsi contro l’ordine costituito usando la propria esperienza come misura del mondo stanno facendo di ogni erba un fascio, quando si arrabbiano e non rispondono più alla grammatica della cosiddetta femminilità – che è silenzio, remissività, garbo, con cui sono sempre state disarmate a livello culturale, convinte di essere il "sesso debole" – sono fanatiche o isteriche.
Sensibilizzare contro l'uso irresponsabile delle tecnologie va bene, ma non serve a uscire da questo Far West che è la società – e di cui certe piattaforme sono solo un riflesso – se gli uomini che intervengono nel dibattito pubblico da posizioni di potere continuano a veicolare il messaggio che il discorso più valido sia quello "misurato" e illusoriamente "super partes" condotto da loro stessi.