Iniziative premi cassa malati, Christian Vitta e Raffaele De Rosa: ‘Maggioranze lontane per il loro finanziamento, mentre le uscite sarebbero immediate’
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‘Si va incontro ad aumenti d'imposta superiori al 10% del moltiplicatore e tagli ai servizi’
di Jacopo Scarinci, Daniel Ritzer
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Prosegue il dibattito sulle due iniziative, una del Partito socialista per fissare a un massimo del 10% i premi di cassa malati, l'altra della Lega che chiede il raddoppio del limite delle deduzioni dei premi, entrambe in votazione il 28 settembre. Jacopo Scarinci e Daniel Ritzer intervistano sul tema i consiglieri di Stato Christian Vitta (Finanze) e Raffaele De Rosa (Socialità), i quali ribadiscono il doppio no alle due iniziative, in quanto finanziariamente insostenibili: comporterebbero aumenti di imposta fino al 25% e tagli ai servizi essenziali. Con il rischio di compromettere i conti pubblici, già in deficit di circa 100 milioni, con ulteriori spese stimate in 400 milioni oltre agli attuali 426 milioni destinati alla Ripam e ai 200 milioni per deduzioni fiscali. De Rosa ribadisce che il sistema attuale dei sussidi, che sostiene 110mila ticinesi e protegge 40mila persone tramite Laps e complementari Avs/Ai, è già molto generoso e cresce automaticamente con l’aumento dei premi (stimato al +5% nel 2026, pari a 20-25 milioni in più di spesa Ripam). Entrambi i direttori riconoscono la pressione crescente sui cittadini, ma insistono che soluzioni semplicistiche rischiano di aggravare i problemi. Il Ticino, già con salari bassi e premi tra i più alti della Svizzera, deve piuttosto continuare a spingere a livello federale per ridurre i costi strutturali della sanità (farmaci, cure, biosimilari). Lo Stato – affermano – non è un’entità astratta, ma la collettività: nuove spese senza coperture reali significherebbero solo più imposte e meno servizi.
Velasco, Trump e la forma del leader
di Roberto Scarcella
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La leadership, come il carisma, è una qualità sfuggente e impalpabile, capace di assumere forme diverse a seconda di chi la incarna. Può appartenere tanto a figure distruttive quanto a personalità costruttive, e il linguaggio social la definisce “aura” proprio per sottolinearne l’immaterialità. Nel suo commento, Roberto Scarcella mette a confronto due esempi recenti e opposti. Da un lato Donald Trump, che alla finale degli Us Open ha preteso condizioni speciali per evitare contestazioni pubbliche, mostrando la fragilità di quei leader che si atteggiano a paladini del popolo ma non tollerano alcun dissenso. Il suo è il modello urlato e muscolare di leadership, basato su arroganza e sopraffazione, incapace di reggere la prova della realtà. All’opposto, in Thailandia, la Nazionale italiana femminile di pallavolo ha conquistato il titolo mondiale guidata da Julio Velasco. Allenatore che, in oltre trent’anni di successi, ha mantenuto uno stile coerente: pacato, riflessivo, lontano dalla retorica dell’uomo forte. Non un santone, ma un tecnico pragmatico e concreto, capace di trasformare pensiero e cultura in scelte rapide ed efficaci, come dimostrato nell’ultimo decisivo set della finale. Il confronto evidenzia un paradosso: mentre leader urlatori e prepotenti conquistano consenso e visibilità, figure come Velasco restano eccezioni sottovalutate. La domanda finale è perché la società preferisca chi strepita e promette dominio a chi, con sobrietà e competenza, sa guidare davvero.
La Protezione animali di Biasca e Valli riflette sul futuro
di Katiuscia Cidali
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La Società protezione animali di Biasca e Valli sta valutando il proprio futuro, con una decisione attesa entro fine anno dal comitato di sette membri. Il presidente Natan Vescovi, veterinario a Pollegio, dopo 17 anni di volontariato riflette sul peso dell’impegno, aggravato dalla mancanza di volontari. La società, fondata nel 1975 da Fausto Guscetti, oggi conta 4,5 unità e ospita sei cani e una ventina di gatti, ma fatica a reperire persone disposte a collaborare senza compensi. Vescovi, che ricopre anche il ruolo di segretario, lamenta l’onere crescente delle richieste e la scarsa disponibilità di nuovi membri. Nonostante gli importanti risultati raggiunti, come la gestione delle colonie feline selvatiche, i problemi burocratici pesano: emblematico il caso di un cervo ferito curato dalla Società, che non può essere trasferito in un parco idoneo per vincoli amministrativi. Tali ostacoli mettono in dubbio la possibilità di proseguire l’attività, se non in una forma diversa da quella attuale.
Quando dire Bar Sport non era un insulto
di Fabrizio Gabrielli
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Fabrizio Gabrielli propone un ricordo dello scrittore Stefano Benni, deceduto all'età di 78 anni. Prima che diventasse fenomeno da salotto, il Bar Sport di Stefano Benni ha rappresentato l’Italia più autentica e provinciale: quella dei banconi in formica, delle luci al neon e delle partite viste su tv gracchianti. In quel microcosmo, Benni ha saputo cogliere e trasformare la vita quotidiana in una dimensione epica e collettiva: non l’epica patinata dei campioni, ma quella sghemba e dolceamara dei rigori sbagliati, dei portieri improvvisati, delle partite inventate al bar. Come un moderno rapsodo, lo scrittore ha dato voce a baristi e avventori, facendone narratori capaci di trasformare piccoli episodi in mitologia condivisa. Con ironia e profondità, ha tratteggiato personaggi e storie che incarnano la memoria di un Paese capace di arrangiarsi, di sognare e di raccontarsi sempre più grande di quanto fosse. Bar Sport resta così romanzo collettivo ed eterno, simbolo di un’epica popolare in cui ancora oggi ci riconosciamo, perché in fondo quella storia siamo noi, seduti al bancone, tra briscola e Peroni.
Il grandissimo Jock Stein e gli odierni coach meteore
di Stefano Marelli
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In un’epoca in cui molti club europei si affidano a giovani allenatori acerbi, la memoria corre ai grandi tecnici del passato, autentici rivoluzionari del calcio. Tra questi spicca Jock Stein, di cui ricorre il quarantesimo anniversario della morte e al quale Stefano Marelli dedica la puntata odierna della sua rubrica Sportellate. Nato nel 1922 nel povero Lanarkshire scozzese, Stein iniziò come minatore prima di emergere come calciatore: centromediano di forza e intelligenza tattica, portò il Celtic a un titolo nazionale dopo anni di digiuno, finché un grave infortunio lo costrinse a smettere. Divenuto allenatore, dopo esperienze a Dunfermline e Hibernian, approdò sulla panchina del Celtic con cui scrisse la storia: al secondo anno conquistò la Coppa dei Campioni 1967 battendo l’Inter, con una squadra formata interamente da giocatori nati entro 50 km da Glasgow. Dopo un decennio di trionfi, nel 1978 passò alla guida della Scozia, che condusse ai Mondiali 1982 e alle qualificazioni per il 1986. Ma il 10 settembre 1985, subito dopo il decisivo pareggio col Galles, morì d’infarto in panchina. Il suo posto fu preso dal vice, Alex Ferguson, che sempre lo considerò un maestro.
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